sabato 16 giugno 2018

MIX Newsletter / Giugno 2018 / Editoriale


DECIDERE

Decidere dal latino de caedere, tagliare, propr. tagliar via, perché in realtà la decisione si ottiene col procedere con aut aut (Kierkegaard): rinviare senza scegliere è l’opposto di quanto richiesto da chi deve decidere. Il Presidente Mattarella ha dimostrato che per decidere man mano ha ascoltato e poi è passato all’azione. Prima incarico esplorativo alla Presidente Casellati, poi al presidente Fico: “tagliate via” le diverse opzioni si è dovuto decidere.
Tuttavia i giorni intercorsi dal 4 marzo hanno segnalato a tutti che le scelte per poter raggiungere decisioni razionali maturano solo se alla responsabilità si accompagna competenza, chiarezza degli obiettivi e trasparenza.
I partiti in campo, squilibrati da risultati elettorali che solo una legge come Il ‘Rosatellum’ poteva - e potrà se non la so cambia- ottenere, si sono comportati con poca lucidità. Una legge proporzionale (sia pure nella forma spuria che è stata adottata) pretende che la maggioranza sia frutto di una alleanza, di una coalizione propriamente detta. E un conto sono i programmi elettorali (anche un po' esagerati), un altro il programma di governo. E’ su questo che si coagula la maggioranza che deve sostenere il governo e, in seno al Parlamento, animare l’attività legislativa in coerenza con i programmi della propria coalizione, in una dialettica positiva con l’opposizione per rispondere al meglio alle istanze della popolazione.
Il 91% ai gazebo e i 40 mila dei clic cosa rappresentano rispetto ai milioni e milioni rivendicati dai due migliori perdenti?
Due negazioni della democrazia rappresentativa: il contratto fra due privati (il signor Luigi Di Maio e il signor Matteo Salvini; si vergognano di essere onorevoli, eletti dal popolo?) e la ‘diminutio del loro ruolo di vertici dei partiti votati dagli Italiani, talche’ hanno bisogno della legittimazione di similreferendum con la loro base.
Chi proclama “prima gli Italiani” deve sentirsi impegnato a rispettare lo strumento aureo per la difesa dei diritti dei cittadini e il bilanciamento dei poteri dello Stato; per essere “difensore degli Italiani” occorre ricorrere al codice fondamentale, la Costituzione.
Per carattere e per scelta non mi sento nemica di chi sta su fronti politici diversi dal mio e al massimo mi sento avversaria e mite, ma mi sento amareggiata di fronte a comportamenti e linguaggi che offendono le istituzioni; queste sono di tutti i cittadini, sono la loro difesa.
Perciò anche le procedure - le liturgie che tutte le grandi istituzioni celebrano per valorizzare i simboli, la tradizione, la storia i valori che costruiscono una comunità- hanno molto da dire. Le cerimonie civili sono officiate nel segno e nel nome del popolo italiano- in un tribunale, in una piazza, o in altre occasioni- esigono atteggiamenti, abiti, compostezza adeguati al ruolo.
Il “contratto” viene ancora e continuamente citato con toni propagandistici e mancano assolutamente - perché si è sempre presentato l’opposto - il Sud e l’Europa, perché “prima gli Italiani” significa che deve essere unificata l’Italia nello sviluppo e che deve essere l’Europa a mantenerci nella testa di serie dei Paesi più sviluppati.
Gli imprenditori del Nord e NordEst, che vivono importando ed esportando in tutto il mondo, pensano che l’Italia fuori dell’area euro mantenga gli stessi standard? Perché nessuno spiega le procedure, le difficoltà e la tempistica (Brexit insegna) di tali scelte monetarie?
Troppa poca chiarezza di tutti e su tutto.
Il problema è grosso e reale: le sommarie e segmentate riflessioni che mi sono permessa fin qui, devono essere capite, da chi? Chi legge i quotidiani? La maggioranza dell’elettorato non ha competenze nè è “alfabetizzata” politicamente per accogliere ed esercitare critiche competenti. La Rete, la propaganda populista, l’informazione distruttiva e offensiva della politica e dei politici ottengono il risultato dell’astensionismo e del ”vaffa”.
I clic sono senza interlocuzione e dialogo, non creano cultura. Spero in un revaival appassionato dello studio della educazione civica e in un rinnovato orgoglio dei politici per il loro nobilissimo ruolo. Spero anche in uno slancio doveroso delle più alte cariche dello Stato a difesa delle istituzioni con un alto magistero pedagogico.
Chiedo in prestito a De Gasperi le parole sul consenso e l’impegno comune per la politica alta. “Ciò che si oppone ad una nuova composizione di una coscienza comune è il neoindividualismo libertario, edonistico, consumistico imperante, privo di un orizzonte etico e, quindi, asociale e amorale, che infetta il comportamento dei cittadini e dei gruppi di persone, i quali non si riconoscono nell’orizzonte più vasto della fraternità e del bene comune”.
Da qui, l’esigenza di impiantare nelle istituzioni e nel tessuto sociale un’antropologia aperta al trascendente e un nuovo concetto di sviluppo integrale, comunitario, plenario, planetario, inclusivo, sostenibile.
Occorre procedere alla riforma dei partiti, oltre che delle istituzioni pubbliche. (…) Data la necessità di una sintesi delle legittime istanze dei vari soggetti nel quadro delle esigenze del bene comune, la crisi dei partiti non va superata con la loro soppressione. E nemmeno cedendo a tentazioni populistiche e movimentistiche che, nonostante alcuni aspetti positivi, celano ambizioni autoritarie e leaderistiche, le quali tendono ad escludere inevitabilmente i cittadini da una partecipazione più attiva e responsabile”.
Perciò oltre alla non immediata, anche se doverosa, riforma elettorale (grave responsabilità del Parlamento) si impone anche l’attuazione dell’art.49 della Costituzione.
Il mio partito, il PD, di fronte alla sua attuale grave difficoltà, come in uno specchio sta osservando i danni che l’assenza della Politica causa al Paese.
Si è capito che si contrasta il populismo con le risposte vere ai cittadini, con un riformismo che aggredisca la precarietà, garantisca l’equità fiscale, assuma l’ambiente come paradigma dello sviluppo. E si è pure capito che le classi dirigenti non si improvvisano; che non si può ridurre a giovanilismo il rinnovamento: che non può essere solo delle persone ma dei contenuti, dei comportamenti, delle prassi. Bisogna ascoltare il Paese e conoscerlo palmo a mano. Gli strumenti innovativi di comunicazione sono integrativi non sostitutivi delle relazioni umane.
È tempo di una “nuova Repubblica” rifondata su un codice di Camaldoli 4.0, perché il mondo cambia correndo, ma i valori devono essere stabilizzati, perché siano fondamenta salde, che non temono gli scossoni del populismo - che non ama il popolo – perché semplicemente lo soggioga con un capo o capetto, comunque senza democrazia. (m.g.)


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