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Marzo - 9 Maggio 1978
è cambiato il destino
della Repubblica
RICORDARE
per IMPARARE
“Ed
ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla
grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo,
vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido cioè ed
il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente
soffoca la nostra voce.
E
chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della
vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la
incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio,
innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo
spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la
risurrezione e la vita. Per lui, per lui.” (Paolo VI, funerale di
A. Moro). La struggente preghiera di Paolo VI (che fu amico di Moro
dai tempi della FUCI - Federazione Universitari Cattolici Italiani,
di cui Moro era Presidente e Montini l’Assistente Ecclesiastico –
comprendeva sentimenti che nessuna dichiarazione politica avrebbe
potuto esprimere meglio.
È
necessario conoscere l’evento che 40anni fa ha segnato la storia di
un uomo e di una intera nazione. Mi auguro che la ricorrenza, molto
illustrata dalla televisione e da un bellissimo docufilm di Ezio
Mauro, sia stata utile a far conoscere, anche a chi era troppo
occupato nei dilemmi post elezioni, la tragedia Moro, perché “a
loro insaputa” ha condizionato la politica del Paese fino ad oggi;
forse i risultati del 4 marzo sono addirittura conseguenza di un
fatto che ha segnato il destino della nostra Repubblica.
Oso
sperare che tutti i giovani politici di oggi leggano libri, si
incuriosiscano - la curiosità, virtù degli intelligenti (Einstein)
- e i parlamentari si informino dalla relazione presentata a fine
legislatura dalla Commissione Fioroni.
Gli
allievi di Moro furono allenati dal loro Maestro alla curiosità,
alla disanima, all’approfondimento del pensiero, al dialogo. Ogni
lunedì, mercoledì e venerdì faceva lezione alle nove e dopo si
soffermava, anche un paio di ore, a discutere con gli allievi, di
tutto, anche di cinema, di cui era un appassionato cultore. Alcuni
giornalisti chiedano pure a quegli studenti se Moro aveva un parlare
oscuro, difficile, ecc.
Un
allievo del moroteo professor Pietro Scoppola, Marco Damilano ha
scritto un bel libro “Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine
della politica in Italia”: con ricordi autobiografici fa rivivere a
chi fu contemporaneo della strage sentimenti mai più accantonati, e
chiede a chi nulla sa né ha vissuto di quel tragico momento la
responsabilità di informarsi. Attuale – attualissima! – la
lezione di politica praticata secondo una visione che faceva
dell’interesse generale il punto di arrivo di ogni confronto
interno ed esterno al suo partito, la DC. Il giovanissimo costituente
(fu eletto alla Costituente a 29 anni) fece del servizio alle
istituzioni la sua stella polare. Il discorso tenuto il 28 febbraio
1978, che viene considerato il suo testamento, rimane una lezione di
come affrontare le svolte difficili nella vita democratica del Paese.
In quel giorno si discuteva, all’interno dei gruppi DC (Camera e
Senato) se inserire i comunisti nel governo o escluderli, pretendere
nuove elezioni anticipate - le terze in pochi anni - ed,
eventualmente, passare all'opposizione. Moro pronunciò un lungo e
complesso discorso di mediazione, dietro il quale si nascondeva una
posizione netta: sarebbe stato sbagliato andare alle elezioni e si
dovevano accogliere, almeno in parte, le richieste comuniste, facendo
entrare il Pci nella maggioranza.
All’interno
del suo partito le perplessità (che eufemismo!) erano diffuse e
profonde.
Dopo
la sconfitta alle elezioni amministrative del 1975 il governo delle
principali città italiane era passato al PCI (ricordo le
manifestazioni sotto la sede della DC, di Milano, in Via Nirone, dove
mi trovavo), al Presidente del partito era chiaro che “l’avvenire
non è più, in parte, nelle nostre mani”. Era il tempo in cui Moro
vedeva non solo la crisi di un partito, della politica, ma dello
Stato: “E’ in atto quel processo di liberazione che ha nella
condizione giovanile e della donna, nella nuova realtà del mondo del
lavoro, nella ricchezza della società civile, le manifestazioni più
rilevanti. E’ un moto indipendente dal modo di essere delle forze
politiche, alle quali tutte, comprese quelle di sinistra, esso pone
dei problemi non facili da risolvere. Un moto che logora e spazza via
molte cose e tra esse la ‘diversità’ del Partito Comunista. Ecco
anima la lotta per in diritti civili e postula una partecipazione
nuova alla vita sociale e politica”. Per Moro la politica era
“aderenza alla realtà e dominare con intelligenza di avvenimenti”,
perciò sapeva quanto anche fuori dai confini dell’Italia (USA,
URSS, NATO) l’impresa cui si aggingeva suscitava una preoccupata e
preoccupante attenzione.
Affermava
in quel discorso: “Sappiamo che vi è diffidenza, in attesa di un
chiarimento ulteriore sullo sviluppo delle cose (…). Si domanda che
cosa accadrà dopo, qualora noi riuscissimo a realizzare la concordia
necessaria per questo anno che ci sta davanti. Credo di poter dire
che in questo anno non vi sarebbero da temere sorprese. Se voi mi
chiederete fra qualche anno cosa potrà accadere (parlo del muoversi
delle cose, del movimento delle opinioni, della dislocazione delle
forze politiche), io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se
fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a
questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici,
non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra
responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si
tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue
difficoltà”. La competenza, la profonda conoscenza della storia
delle istituzioni e del Paese, nonché la grande esperienza maturata
in molti anni di parlamento (non il giovanilismo e ancora meno
l’eccessivo ricambio dei parlamentari) consentivano di poter avere
la consapevolezza di quali fossero le scelte e “le conseguenze
delle conseguenze” della politica, alta e buona. L’impreparazione
rende sottomessi ai “capi”.
Il
metodo era il dialogo e la finalità il confronto. A Zaccagnini
scrisse che l’operazione era di solidarietà nazionale e non di
compromesso ancorché storico, perché questo comporta avvicinarsi da
una parte all’altra fino a metà.
In
questi giorni c’è chi per raggiungere un compromesso evoca i
governi programmatici di De Gasperi. Allora i programmi erano
impostati sui principi e sulla visione di una collocazione
dell’Italia nell’Occidente, fondati sul riferimento culturale al
cattolicesimo democratico.
Le
celebrazioni, le rievocazioni nei giorni del quarantennale della
strage di Via Fani non hanno lenito una ferita che rimane non solo
aperta, ma purulenta: le sue secrezioni hanno infettato anche queste
giornate.
Inaccettabile
che gli assassini terroristi abbiano avuto una tribuna mediatica
attraverso la TV di Stato (i dirigenti avrebbero dovuto trarre
qualche conclusione). Questi devono sparire nel silenzio totale:
dimenticarli senza dimenticare le loro vittime e il significato della
loro vita.
La
Costituzione, che compie 70 anni, fu fondata sul sacrificio di
generazioni che lottarono per la libertà; la nostra attuale
Repubblica merita almeno l’impegno di studio e l’approfondimento
sulla sua storia, sul valore intangibile delle istituzioni
democratiche, sulla nobiltà della politica come servizio al presente
e al futuro degli Italiani.