venerdì 20 ottobre 2017

MIX Newsletter / Asia Bibi


MIX Newsletter / Ottobre 2017


MIX Newsletter / Ottobre 2017 / Editoriale

SCEGLIERE 

Scegliere, in latino si dice eligere, cioè eleggere. Le elezioni dovrebbero essere una missa solemnis della democrazia ma ad oggi sono un tormentone sia nel dibattito politico che nella loro ormai consolidata disaffezione nel sentire dell'elettorato. Non potrebbe essere altrimenti per i molti motivi che le forze politiche non stanno ancora - spero non perché non lo sappiano - rimuovere con un gioco al massacro sostenuto dal retropensiero di distruggere l'avversario prima, e poi ricostruire: non funziona così in una società in cui i media illustrano e dilatano anche i metamessaggi, veri o 'fake', per cui diventa affannosa e improduttiva la rincorsa. 
L'abitudine a tenere d'occhio i sondaggi - anche se hanno mostrato la corda - mobilitano i leader sul contingente, sulle risposte 'occhio per occhio' alle polemiche, anziché ai dialoghi. Chi non è interessato alla politica cosa può capire? E perché deve interessarsi? La causa primordiale dell'assenteismo e del populismo (non sovrapponibili) è il grande risentimento sociale che si è insediato nelle fasce di popolazione che il neoliberismo ha immolato sull'altare del mercato. 
I ceti più sfortunati e le “periferie” non sono stati protetti né prima della crisi né tanto meno dopo. Non sarà il destino baro ad aver guidato nella Brexit, nella elezione di Trump, i voti lontani dalle sinistre espressi nelle periferie delle nostre città. 
Non pare ancora chiara una inversione di tendenza, perché anche nel profilo della nuova legge elettorale non appare la volontà di un collegamento diretto del cittadino con il suo rappresentante. Solo questa è la strada per il recupero della credibilità. La legittimazione dei partiti - ancora in assenza di una legge che li regolamenti - passa dalla loro capacità, indispensabile e non rinviabile, di selezionare i candidati. Devono essere riconoscibili per impegno, competenza, dedizione. È inutile e dannoso il giovanilistico frenetico turnover degli eletti. Al Paese serve che siano capaci. Fassino ha suggerito saggiamente di integrare giovani e veterani nelle liste per preparare successioni utili e funzionali agli incarichi impegnativi da assumere in Parlamento e nelle diverse Istituzioni. Per il resto, gli eletti, potrebbero stare in Parlamento o in Consiglio comunale fino a quando gli elettori non li votano più. In questi anni si sono modificate le Assemblee con criteri anagrafici anziché democratici. Sono finzioni le elezioni in cui le scelte sono aprioristicamente determinate da partiti che, ultimamente, non riscuotono la reputazione della gran parte dell'opinione pubblica. Le leggi elettorali sono, per eccellenza, espressione del potere parlamentare e, per fortuna, la legislatura, sia pure in limine, approva una nuova legge elettorale, ma è un fatto che si è arrivati a ridosso della campagna elettorale. 
Si è disturbato il latinum grossum per indicare le regole cambiate, praticamente, ad ogni legislatura. Non si scelgono così i rappresentanti del popolo, addirittura irridendo le proprie leggi, spesso sospettate di incostituzionalità. Chissà se in una qualche prossima legislatura sarà varata una legge che, come in USA o Francia o Germania, duri nel tempo, garantisca che i cittadini individuino con nome e cognome la personalità che viene espressa da un proprio ben circoscritto territorio, con una diretta responsabilità dei partiti a preparare le loro classi dirigenti. Se ci sono riusciti gli altri, non mancheranno gli esperti e capaci in Italia per disegnare definitivamente un complesso di regole che riscuotano l'attenzione dei cittadini almeno, anche se non scaldano il cuore. 
Mi chiedo se i nostri politici hanno mai ammirato le fotografie delle code ai seggi nel dopo guerra oppure le immagini degli elettori dei Paesi in cui si rischia di essere uccisi mentre si sta in coda davanti ai seggi... In Italia, invece, il Governo deve ricorrere alla fiducia per salvarle l'onore del Parlamento dai rischi delle imboscate col voto segreto. Ricordiamo il giudizio di Aldo Moro all'Assemblea Costituente sul voto segreto che "tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell'esercizio del loro mandato" (14 ottobre 1947). 
Ho ascoltato critiche e anche amarezze per come si è arrivati alla legge. Ci sono stati quattro anni di tempo e si è giunti in questa maniera alla meta? Mi pare non ci fosse altra via. La maggioranza che l'ha votata era ampia e oltre il recinto governativo. In qualche modo coi collegi piccoli si collega il parlamentare al territorio (non ci si azzardi a catapultare i soliti noti extraterritorio!) e i listini corti consentono di penalizzare il partito se i candidati elencati non corrispondono alle aspettative. Quanto alla aderenza ad un territorio, trovo particolarmente incoerente i collegi esteri, che coincidono con i Continenti. Come si rappresentano gli Italiani residenti in Australia o in Sud America? Per non parlare di altre difficoltà collegate. 
Il Parlamento ha bisogno di rilanciare il proprio ruolo centrale e insostituibile in democrazia con qualche ulteriore 'colpo di reni', approvando la legge sul fine vita e quella sullo Jus soli, nonché quella sulla istituzione degli Albi delle professioni sanitarie, col riconoscimento di nuovi profili professionali, per assicurare i cittadini (soprattutto i malati) che incontrano operatori qualificati  (eliminando gli abusivismi). 
Sono norme che dividono e insieme recuperano trasversalmente la condivisione, ma dimostrano la capacità dei partiti di stare dalla parte dei bisogni, invece che delle convenienze. Gli elettori, fatta salva la legge elettorale, si aspettano la risposta alla domanda più radicale, che può indirizzare davvero i voti: qual è il progetto Paese? Quali candidati saranno capaci di attuarlo? La forza della politica e la riconquista dell'opinione pubblica non avvengono sulle disfide interne dei partiti (non se ne può più!), ma sulla chiarezza dei programmi e dei propositi, con un magistero orale che spiega, illustra, ascolta. Chi pensa di sconfiggere i populismi in modo diverso è in mala fede. 
La controprova sono tutti i referendum archiviati, in atto e prossimi.  C'è una grande voglia di far sentire la propria voce ed anche ben individuabile attraverso una forte accentuazione di identità e perciò con finalità divisive, di contestazione. I ricorsi ai referendum sono falsa valorizzazione del popolo decidente: la democrazia non si celebra con un sì o un no, con maggioranze emotive, che deresponsabilizzano le assemblee elettive. E ogni volta che è prevalso il sentimento di appartenenza territoriale, anziché di comunità politica coesa perché le istituzioni la interpretano e la servono, sono avvenute divisioni drammatiche. 
Brexit e Catalogna (speriamo), certo non come la penisola balcanica, e tuttavia col virus della supremazia etnica ed economica: si evocano ritualmente le tasse da non dare allo Stato centrale. 
Un’altra formidabile giustificazione che spinge a destra è la paura della immigrazione. Kurz insegna. La grande colpa è di non aver gestito il fenomeno dal suo manifestarsi. Ora è difficile vincere le fake news, ma bisogna farlo!  

Meritano molta attenzione e analisi questi fenomeni, altrimenti, invece che una indispensabile e condivisa marcia verso gli Stati Uniti d’Europa, la carta geografica dell'Europa assomiglierà a quella del 1500, coi confini di piccoli Stati, che per le prossime generazioni significheranno irrilevanza politica, economica e culturale. Un bel progresso. (m.g.)

lunedì 9 ottobre 2017

Vent'anni fa ad Assisi

In un sopralluogo nelle zone del terremoto di vent'anni fa, ad Assisi, da Presidente della Croce Rossa, ho avuto accesso alla zona interdetta del cantiere della Basilica. 
Era stato salvato un frammento in cui si riconosceva San Rufino, ma dal soffitto continuavano a cadere frammenti che, dopo un lungo volo, si “spiccicavano” al suolo come polvere: i restauratori mi dicevano “come borotalco”. Avvenire nel bel articolo di oggi ricorda che erano oltre 300.000 frammenti. Uno “stringi cuore” per chi vi stava lavorando.
Ho incontrato la sovrintendente (credo di ricordare che fosse Paola Passalacqua) che coordinava il gruppo interno alla Basilica e piangeva. A una mia domanda si è spesa in accurate e appassionate spiegazioni e mi mostrava gli strumenti con cui delicatamente componevano un infinito, defatigante puzzle. 
Aspettava l'autorizzazione del Commissario, Antonio Paolucci, per fare l'acquisto di gomma piuma per coprire il pavimento e così attutire la caduta degli affreschi. Il Commissario era alle prese con un problema ben più grave: un timpano da salvare, sul lato destro della Basilica, e aveva altro cui pensare... Ho scambiato qualche occhiata con la sfiduciata sovrintendente e Le ho fatto una proposta: sarebbero andati bene anche dei materassi? Infatti, a Jesolo, al centro accoglienza dei rifugiati, erano accatastati molti materassi dismessi, perché la CRI li cambiava ogni volta per rispetto delle persone. Così decisi di inviare un Tir di materassi per coprire l'intero pavimento della Basilica. Ritengo sia evocativo e commovente il collegamento, avvenuto nei fatti, fra il diritto umanitario di tutela dei vulnerabili e la conservazione dell'arte.
Ogni dopo terremoto è un tempo assai complicato da gestire; si sommano problemi umani e problemi materiali, come recuperare i tesori di una tradizione culturale che costituiscono l'identità di un territorio e di una popolazione. Segnatamente, in quel caso, un vero patrimonio dell'umanità e della spiritualità universale.
Mariapia Garavaglia