giovedì 30 marzo 2017

MIX Newsletter Marzo 2017 / Editoriale

PRIMA L’ITALIA PRIMA L’EUROPA 

Ci sono slogan che sono stati usati indifferentemente in campagne elettorali di forze politiche molto diverse. 
Il fatto è che non basta copiare, perché i programmi politici - anch’essi senza copyright – devono essere costruiti con parole pesanti, quanto sono onerosi gli impegni che si assumono verso gli elettori e i propri militanti. Per esempio, Trump ha entusiasmato i suoi elettori con lo slogan “Prima l’America”, ma non ha potuto dire “Prima la Carolina” oppure “Prima il Texas”… Noi non possiamo ancora dire “Prima l’Europa” e questo sta diventando un vero virus per l’Unione, perché ogni Paese rischia di voler affermare prima la propria nazione. 
Perfino Forza Italia, che fu uno slogan della DC e poi il nome di un partito, non aveva una connotazione nazionalistica, ma solo una proposta programmatica. 
Oggi, invece, qualche programma partitico diventa piattaforma di un nazionalismo populista che fa perdere l’orizzonte di politiche forti per il futuro del Paese. 
Un noto studioso di fenomeni sociali – Giuseppe De Rita – ha recentemente scritto che per affascinare  l’opinione pubblica non servono cataloghi di programmi, perché ormai non sono più credibili: infatti ad ogni tornata elettorale compaiono voluminose piattaforme che puntualmente non saranno attuate. Piuttosto serve dimostrare che ad ogni problema corrisponde una soluzione e che la politica (i partiti) ha una visione da proporre, conosce la strada per il futuro e offre speranze da realizzare insieme, da vera comunità.  
Il mese che sta volgendo al termine ha proposto molti motivi di riflessione e anche ricorrenze che avrebbero potuto allargare il cuore. La giornata internazionale della donna, la festa dell’Unità d’Italia (17 marzo), la giornata della memoria contro tutte le mafie, il 25 marzo compleanno dell’Europa: tutti risultati ottenuti di cittadini consapevoli del valore della democrazia e della legalità. Ma sono arrivati lutti in diversi Paesi europei e da ultimo l’attentato a Londra. La riunione dei Capi di Stato e di Governo a Roma può e deve essere uno spartiacque fra populismi e nazionalismi, che chiudono i popoli alla speranza, contro l’apertura verso la realizzazione di un sogno, l’Europa unita, patria di 550 milioni di cittadini. 

Come diceva Mitterrand il nazionalismo è guerra, mentre la visione sovranazionale rende compatibili e integrate culture che costruiscono e mantengono la pace. Del resto alle porte del nostro Paese negli anni ’90 abbiamo avuto la certificazione che dalla disgregazione nascono le guerre. La guerra balcanica è il risultato del disfacimento della Federazione iugoslava. E’ tempo che imitiamo i nostri giovani ‘nomadi’ in tutto il mondo. A loro starebbe stretta la vita legata solo al paese di nascita. Osserviamoli: viaggiano, parlano diverse lingue e sanno assumere abitudini senza perdere la loro identità. I Paesi della UE, invece, sembrano voler difendere una identità che si è smarrita anche attraverso un allargamento non governato; basta pensare ai comportamenti di Ungheria o di Polonia. 
I Padri fondatori, che venivano per nascita da terre di frontiera (da cui erano originate due guerre mondiali) ponevano nella comune identità culturale europea le fondamenta per sognare prima e costruire poi un progetto che ha permesso decenni di pace e di prosperità, come mai era accaduto. Ed è la prima volta che l’Europa, nonostante le difficoltà che attraversa, è contrastata da leader stranieri che ne auspicano l’ulteriore indebolimento. 
Forse dopo Trump e le mire egemoniche di Putin i nostri governanti potrebbero raccogliere la sfida per correre verso un “riordino” dei Trattati e delle prassi. Di volta in volta ci si augura di avere un unico Ministro del tesoro o della difesa, come abbiamo l’Alto Rappresentante di politica estera. 
Sarebbero soluzioni burocratiche invece che politiche, che aumenterebbero i passaggi nella catena di governo piuttosto che esprimere una politica unitaria. 
Dopo il sollievo per il risultato delle elezioni olandesi, c’è da augurarsi che ci sia un risultato simile in Francia, ottenuto da un giovane leader, Macron, che non ha paura di difendere l’Europa. Alla Le Pen non si contrappone sul medesimo piano e cambia completamente registro offrendo ai francesi chiarezza ideale, coraggio di parole diverse da quelle dei populisti per superare sfide che, afferma: “non sono più tanto tra destra e sinistra ma tra apertura e chiusura”. Non teme di parlare di immigrazione. E’ un leader di 39 anni, ma ha studiato all’ENA, parla tre lingue, ha lavorato alla Banca Rothschild, è stato consigliere di Hollande e Ministro dell’economia. Veste con la cravatta, legge molto,  non usa parole fuori posto e invece di evocare contrapposizione tra gli Stati e i popoli, evoca solidarietà, responsabilità e pace.  

Occorre fare il tifo, e sperare nel successo di tutti coloro che si impegneranno per poter dire “prima l’Europa!”. (m.g.)