GOVERNARE
Dal
latino gubernare “tenere il timone“, cioè mantenere la rotta,
guidare all’approdo.
Dal
4 marzo si è alla ricerca di un governo per l’Italia, ma sembra
che anche i partiti siano alla ricerca di una rotta. Per governare un
Paese, una azienda, una famiglia, una... squadra di calcio bisogna
avere una strategia, per raggiungere una meta, per rendere visibile
il risultato, dimostrando la bontà della rotta scelta.
Agli
Italiani in questi mesi non è stato offerto nulla di ciò, con buona
pace di tutti i politologi e politici (politicanti) autodidatti e
ancora immaturi per afferrare il timone. L‘Italia ha attraversato
periodi anche più difficili, insidiati da trame oscure; tuttavia la
politica ha tenuto insieme il Paese e l’ha guidato in continuità,
anche con alternanze governative, perché l’Italia “veniva
prima”, non soltanto a parole. La campagna elettorale ha
assecondato i sentimenti rancorosi dei cittadini, ancora preoccupati
e impauriti da una crisi che sentono non del tutto superata e dal
pericolo, agitato, della ‘invasione’ di immigrati.
La
politica guida i fenomeni invece di assecondare i ‘sentiment’
della gente. Senza guida si spara in strada, si picchiano gli
insegnanti a scuola, si brutalizzano i compagni ... poi ci si chiede
che società è la nostra. Quella che abbiamo lentamente preparata;
passo passo, insensibilmente, fino a quando la frittata è stata
fatta. Tocca a tutte le istanze educative, dalla famiglia, alla
scuola, ai gruppi associativi e – in primis - alla politica
dimostrare - e perciò educare con l’esempio - che si rispettano le
regole; che ciascuno svolge e occupa il proprio ruolo senza
sconfinamenti, cedimenti o deroghe e deleghe. Troppo disimpegno e
indifferenza verso responsabilità e doveri individuali.
Contemporaneamente
“i politici sono tutti uguali; sono corrotti; sono ladri“ ecc.
Come si crede di far vivere la democrazia, suscitare passione civile,
interessarsi alla cosa pubblica, partecipare al bene comune?
La
politica ‘buona’ è l’attività più lontana dai clic sul PC.
Ci si illude di fondare una democrazia 2.0 con la Rete. Democrazia
‘diretta’: da chi?
Potrà
esserci in un futuro una tale affidabilità della Rete, ma quello che
osserviamo oggi ci obbliga a riflettere. Da quanti clic sono scelti i
rappresentanti dei nostri problemi, della vita quotidiana dei
cittadini? I clic quale competenza ci trasmettono di quei
rappresentanti? La storia del Paese, le sue relazioni nel contesto
geopolitico, i precedenti giuridici che hanno aiutato a sciogliere
situazioni difficile governabilità, non sono apprezzabili soltanto
consultando la Rete. Governo dei cittadini e non governo dei partiti
è uno slogan recente, che denuncia da sè la falsità, perché tocca
ai partiti, che hanno partecipato ad elezioni democratiche, trovare
una maggioranza per sostenere il governo che saranno riusciti a
formare. Sia le promesse esorbitanti delle campagne elettorali sia le
velleità populiste si scontrano con la realtà fattuale; c’è un
ordinamento che regge le istituzioni, difesa e sostegno dei
cittadini. Ci sono incarichi da assumere e da distribuire. Si possono
chiamare con disprezzo “poltrone,” ma sono posti di
responsabilità che prevedono – addirittura (sic) - dei privilegi.
Le famiglie che hanno malati gravi in casa, oppure disoccupati senza
speranza, figli ‘disgraziati’ non sanno nemmeno se esistono e
quali siano i privilegi. Hanno il diritto di chiedere urgenti,
efficaci e chiare risposte alle loro ansie e angosce. I partiti
organizzino piattaforme di risposte, preparino la classe dirigente
competente e credibile. La negazione della loro capacità di visione
e di guida è sancita dalla finta democrazia diretta: rifugiarsi in
un referendum per allontanare la responsabilità della scelta. È il
voto la consultazione democratica dei cittadini; è la loro censura
la perdita o la conquista del consenso.
Per
governare bisogna spiegare, chiarire, confrontarsi. Il confronto e il
rinnovamento hanno caratterizzato una stagione in cui il partito di
maggioranza relativa doveva affrontare situazioni inedite. Sono due
parole che racchiudono un programma politico di lungo respiro. Oggi
ci sono stati rinnovamenti, invece, che hanno tradito il fine. Un
tournover esagerato, per cui non c’è continuità nella staffetta
fra i ‘senior’ che possano guidare i nuovi parlamentari. De
Gasperi, settantenne, sognò e lavorò per una democrazia che molti
giovani non avrebbero né potuto nè saputo attuare. La legge
elettorale coi risultati ultimi ha imbrogliato le carte a tal punto
da lasciar fuori dal parlamento molte donne (-38%) col gioco delle
candidature plurime: gravissimo far scegliere una lista a causa di
quel gradito capolista e poi trovare eletta un’altra persona!
Come
pure indegno è il giochino di candidarsi ad un nuovo livello
istituzionale, lasciando l’incarico rivestito: preoccupati della
propria carriera invece che degli interessi dei concittadini.
Urge
un ripensamento riguardo alla legge elettorale Questo Parlamento si
dia un alto compito che sia davvero storico: non deve fare una
Costituzione, ma una legge elettorale che valga per decenni come
accade in altre grandi democrazie. Ne scelga una e la copi
interamente, non una simil tedesca, una che si si ispira a... sia un
sistema che consenta all’apertura delle urne di conoscere chi
governerà. I sistemi prevalentemente proporzionali non prevedono
vincitori, che governino, e perdenti che stiano all'opposizione.
Spadolini divenne primo ministro, pur rappresentando il partito
minore della coalizione. Macron è diventato quello che è, perché
non è stato eletto con una legge proporzionale. Questo Parlamento ha
il compito di interpretare il sogno della federazione europea. Questo
Parlamento si colloca in un tempo in cui può fare scelte che
riportino i cittadini alla politica per guardare ad orizzonti ancora
imperscrutati e affascinanti. Il governo francese ha un ministro
dedicato alla intelligenza artificiale, noi abbiamo gruppi che
pensano di poter chiudere le frontiere culturali del nostro Paese.
Nell’attesa
di un “buon governo“, viene da suggerire di cercare qualche
esempio cui ispirarsi.
Il
rappresentante di un Paese che aveva fatto la guerra accanto a Hitler
e l’aveva persa, poteva con autorità morale rivolgersi ai
rappresentanti delle democrazie vincitrici: “Vi chiedo di dare
respiro e credito alla Repubblica d’Italia; un popolo lavoratore di
47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare
un mondo più giusto e più umano”.
Era
questo lo spirito del nostro Paese settant’anni fa ma, come si
dice,
“si
hanno i governi che ci meritiamo”. (m.g.)