CAMBIARE
Un
governo c’è. È stato tortuoso il procedimento per rispettare un
risultato elettorale - difficile da decifrare - che tuttavia il
Presidente della Repubblica ha voluto - con pazienza, competenza
istituzionale e rigore procedurale - perché fosse coerente con quel
risultato: ha rispettato il voto e onorato lo spirito e la lettera
della Costituzione.
I
70 minuti del discorso di presentazione alle Camere non potevano
essere meno impegnativi; nella genericità può starci tutto e il
contrario e infatti molti degli slogan delle campagne elettorali dei
due contraenti erano svaniti e ne sono apparsi altri, compreso
qualche svarione di galateo politico e cerimoniale. Il primo ministro
non è stato eletto come altri ministri e ciò dice che è sempre
bene essere prudenti prima di lanciare anatemi e moralismi. Il fatto
è che non erano a disposizione classi dirigenti preparate. Anche la
presenza femminile è diminuita e ancora una volta ma sono aumentate
le poltrone di sottosegretario rispetto al governo Gentiloni. E in
definitiva, ancora una volta non è stata scelta una donna come primo
ministro, magari eletta. Chissà se mai in Italia avremo una Premier
e una Presidente della Repubblica donna!
Ora
è importante che il Governo sia messo in condizione di lavorare -
perché è interesse del Paese- anche se le prime mosse hanno
presentato non poche incongruenze. Dipende forse dallo strumento che
dovrebbe guidare la navigazione. Non mi piace il “contratto”
perché introduce alcunché di privatistico nella attività più
importante e impegnativa di servizio al Paese. Ancora... più privata
è la piattaforma Rousseau che è insinuata tra i gangli della
amministrazione statuale.
Una
ulteriore ingerenza privata riguarda una convenzione fra Lega (di cui
però il ministro dell’interno è segretario) e Russia unita
(partito che sostiene Putin) basata su un “partenariato paritario e
confidenziale”, un “accordo sulla cooperazione e collaborazione”
fra i due partiti.
Un
contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire,
regolare od estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. È la
massima espressione dell’autonomia privata, del potere che hanno i
soggetti di dettare una regola ai propri interessi. Il contratto
produce effetto solo tra le parti; può produrre effetti nei
confronti dei terzi solo nei casi ammessi dalla legge.
Non
c’è dubbio che il Presidente Conte conosce benissimo come docente
e per professione la materia.
Anche
al G7 ha ricordato che si farà guidare dal contratto. Ma il primo
obiettivo di chi deve guidare una nazione dovrebbe essere
l’esposizione di una visione. Il contratto ha sommato punti
programmatici senza che configurassero obblighi con scadenze,
finanziamenti, ecc. Il “governo del cambiamento” dovrà fare i
conti col principio di realtà. Non a caso si ricorda la battuta di
Nenni che a palazzo Chigi non trovò il bottone del potere.
Voglio,
posso, comando: ma con le procedure, col rispetto del Parlamento, con
la legittimità degli atti. Di Maio ha affermato “lo Stato siamo
noi”: no! Noi tutti i cittadini italiani, non il Governo del Paese,
i cittadini della Repubblica in un territorio, l’Italia, con fini
comuni e doveri, gli uni verso gli altri.
Una
rivendicazione orgogliosa di essere populista da parte del presidente
del Consiglio? Non è un titolo di merito se si intendesse nel
significato proprio; non credo si voglia essere antipolitici, dovendo
esercitare il potere politico per attuare il contratto. Il populismo
stimola una concezione egocentrica e identitaria che nega una visione
futura comune.
Gli
argomenti più ricorrenti per tenere legato l’elettorato da parte
dei populisti fanno leva sulla paura e sugli interessi individuali.
Cosicché anche l’interesse nazionale viene sottomesso al
contingente, nelle nicchie di proposte (flat tax, reddito di
cittadinanza, ecc.) invece che proporre e impegnare la Nazione verso
un obiettivo, grande e storico davvero: gli Stati Uniti d’Europa.
L’Europa siamo noi! Non si può dire come ripetono i nostri
governanti “Andiamo da quei signori a Bruxelles”, in quanto ci
siamo anche noi in Parlamento, nella Commissione e nel Consiglio. Si
possono battere i pugni sul tavolo facendo parte della squadra e,
comunque, quando si gioca si rispettano le regole che abbiamo
partecipato a scrivere. Si possono cambiare, certamente. Ci si deve
applicare con un lavoro di grande respiro, insieme con gli altri
Paesi Fondatori - Francia e Germania - (gli attuali rappresentanti
passeranno, ma le future generazioni avranno un grande Paese). I
nostri governanti possono scrivere la storia di una Federazione che
rappresenta il 7% della popolazione mondiale, il 25% del Pil, l’area
più ricca di brevetti, un continente primo in tutto: varrebbe la
pena impegnare tutti i cittadini in questo sogno, gli Stati Uniti
d’Europa.
Purtroppo
il governo non ha ancora evidenziato in politica estera un sentire
unitario e in continuità con le scelte passate, mai revocate,
dell’Italia.
Per
quanto ogni maggioranza deve attuare il proprio programma, le
istituzioni hanno una loro continuità ed è importante, anche per
non ricominciare sempre da capo, conservare ciò che di accettabile
hanno lasciato in eredità i governi precedenti. Il sen. Salvini, che
pure ha riconosciuto il lavoro fatto da Minniti, ha messo in scena
con la nave Aquarius il peggior spettacolo dal punto di vista
umanitario (siamo il Paese tra i fondatori del diritto umanitario con
la prima convenzione di Ginevra) e ha solennemente rivendicato la
vittoria affermando che “fare la voce grossa paga”. Se l’esempio
viene dall’alto, è questo il messaggio educativo che si lancia
all’opinione pubblica da parte dei governanti? Questa è
propaganda; invece, un vice primo ministro chiama tutti i colleghi
europei, annuncia loro la volontà di chiudere i porti e con loro
decide il da farsi: questa è politica. E non sarebbe stata
risparmiata la sgradevole ingerenza francese. “Ora l’Europa ci
ascolterà; parleremo con Bruxelles”: curiosa questa attribuzione
di antropomorfismo a quella che è l’istituzione di tutti gli
Europei. Come pure impressiona che non si spieghi mai perché è
obbligo e non costrizione seguire le regole votate a Bruxelles. Se
non rispettiamo, per esempio, i vincoli finanziari creiamo difficoltà
nei 19 Stati con la stessa moneta. Non possiamo, non dobbiamo
danneggiare gli altri 18 con le nostre politiche sovraniste.
Di
sovrano abbiamo il nostro grande debito, che è comperato da tanti
altri Stati, per cui se l’Italia perde la fiducia i ‘sovrani
creditori’ abbandoneranno i nostri Bot. Alcuni decenni fa il nostro
debito era in mano agli Italiani per il 60%, oggi è il contrario. E
lo spread non è una parolaccia, se non perché indica quanto ci
costa ogni punto di spread in interessi che l’Italia paga, che è
come dire quanto ogni risparmiatore perde. Perché non spiegare bene
agli elettori la realtà e animare un po’ di europeismo invece che
paura e scetticismo? I voti sono volatili, ma la vita dei figli e dei
nipoti dei governanti e degli elettori di oggi si svilupperà in un
futuro migliore di come è fatto presagire dalle opportunistiche,
mistificatorie narrazioni delle campagne elettorali.
Finalmente
con il voto di domenica 10 giugno dovrebbe essere finita la
...infinita campagna elettorale. Faticoso anche completare la squadra
di governo; per quanto abbiano in spregio il manuale Cencelli è
stato usato per distribuire le due poltrone dei due vice primi
ministri, come già prima per la assegnazione delle cariche dei
vertici parlamentari.
E
a proposito del voto di domenica 10 giugno c’è poco da essere
soddisfatti anche da parte di chi ha perso poco o ha guadagnato
ancora di meno. Si è visto che è facile passare dal “cappotto”
ad una percentuale di poco superiore ai due numeri. Perciò
l’opposizione non si accomodi nell’attesa delle sconfitte altrui:
dovrà essere attiva in Parlamento come si conviene in democrazia.
Anche, e forse soprattutto, l’opposizione dovrà attivare una
azione di controllo parlamentare e di rapporto con l’elettorato con
un ben diverso armamentario linguistico, comportamentale e
programmatico.
Basta
battute! Essere vertici di un Paese chiede serietà dei modi, del
vestire e del parlare.
Il
PD prepari l’alternativa al cosiddetto Governo del cambiamento con
l’unità di intenti e organizzativa. Prepari una classe dirigente
partendo dagli enti locali. Urge aggiornare la visione di sinistra
della società; i nodi culturali sono immigrazione ed Europa. Perché
Salvini è condiviso dalla maggioranza degli Italiani (compresi gli
elettori del Pd)? Perché in 5 anni non si è governato un fenomeno
epocale e destinato a durare (Minniti ha soltanto cominciato).
La
realtà in Italia, in Europa e planetaria è completamente diversa da
quella che ci siamo rappresentata: nella società c'è grandissimo
disagio, c'è dolore, c'è diseguaglianza, c'è un'incertezza dei
genitori per la sorte dei figli e altrettanta incertezza dei figli
per il loro futuro. E c'è un'Europa imperfetta e sempre più
disgregata. C’è il pianeta Terra – la casa comune – che urla
contro il degrado che stiamo portando, ma l’ambientalismo invece di
divenire politica globale si limita a grida ideologiche.
Cambiata
l’organizzazione del lavoro e si sono destrutturate le classi
sociali; cambia il rapporto tra lavoro e tecnologie e crea una
condizione nella quale precarietà, flessibilità e fine di certi
lavori hanno come risultato conseguenze antropologiche. Cambia la
composizione demografica del nuovo mondo, le popolazioni invecchiano.
Come reggeremo il "welfare state" con pochi che lavorano e
molti da sostenere? Ci sono problemi giganteschi sui quali la
sinistra dovrebbe ragionare e influire con i suoi valori.
Non
potrà esserci una politica Dem senza che si ricostruisca una
comunità del Noi; una visione che contrasti la paura, perché i
cittadini hanno diritto alla serenità sociale e sentano quanto gli
uni debbono agli altri: siamo interdipendenti - tutti - sia nelle
relazioni interpersonali che internazionali. Siamo sempre
interconnessi, e non solo on line!
Cambiare,
parola molto usata, dal significato ambiguo. Vorremmo utilizzarla
solo per indicare un percorso di cambiamento verso il meglio, perché,
purtroppo, si può cambiare anche in peggio. (m.g.)