CAMPAGNE ELETTORALI
È tutta
una campagna: Gran Bretagna, Stati Uniti , Austria, Russia,
Ungheria, Colombia, Italia: che sia per un referendum o per le
elezioni politiche non c'è convocazione di elezioni che non crei una
eco, che rimbomba in ogni punto cardinale. Effetto collaterale della
globalizzazione? I referendum, che siano obbligatori per legge o
'rischiati' dai governi, stanno interpretando il peggio del
populismo. Non sono ignoranti i cittadini elettori, o disinformati:
semplicemente votano contro. E senza pensare al futuro, come per la
Brexit o la Svizzera o l' Ungheria. La globalizzazione ha portato,
con grandi vantaggi, molte paure e i politici miopi le cavalcano. Il
populismo si batte con le politiche ardue, utopiche ma facilmente
interpretabili dai cittadini, altrimenti vale sempre "non nel
mio giardino". Tocca sempre agli altri: al governo, alla scuola,
alla sanità, al vicino: mai a me.
Perfino
nella più solida e antica democrazia, il cosiddetto establishment è
rifiutato al punto di avere una candidato iperpopulista come Trump
contro una donna di qualità, competente e preparata, perché interna
all'establishment, Hillary Clinton.
Le
campagne elettorali, anche le più impegnative per la posta in gioco,
si combattono giorno per giorno non con gli slogan, talk show,
social, ma dimostrando interesse per i bisogni dei singoli e della
comunità. Sta emergendo da tante evidenze che la
politica esige competenza. Sia che si tratti di politica interna che
estera; anzi, i risultati più importanti per ogni scelta interna non
prescindono da una intensa e prestigiosa politica estera. Non
disponiamo più nè di Kohl, nè di Churchill, o di De Gasperi,
e neppure di Andreotti o Moro, ma a questi possono ispirarsi Merkel,
Hollande, Renzi, ecc. L'Europa è troppo vicina all'implosione: non
si può assecondare l'idea che "Bruxelles non ci dà ordini!"
A Bruxelles si deve vincere il nazionalismo di poco respiro. Se serve
difesa comune, si vuole un ministro delle finanze comune, se c'è un
alto rappresentante comune per la politica estera e c'è una moneta
unica urge
lavorare
sulla unificazione
politica.
Deve essere una marcia forzata per poter evitare quanto sta
accadendo: che alcuni partner succhino miliardi di fondi strutturali
e calpestano i principi fondanti dell'Unione. Finalmente i cittadini
sarebbero parte di una patria e non 'sudditi' di Bruxelles. Gli Stati
Uniti d'Europa devono diventare un sogno condiviso, un’ansia di
successo dei nostri popoli, perché si diverrebbe lo Stato più forte
economicamente, in pace, e dalla solida cultura democratica.
In
Austria bisogna ripetere le elezioni per calcoli sbagliati; in Spagna
forse si dovrà rivotare perché non si forma una sufficiente
maggioranza a sostegno del governo; in Italia, alla ricerca di una
legge elettorale che garantisca la governabilità, siamo sul punto di
doverla modificare prima ancora che sia messa alla prova... Invece
negli Stati Uniti d'America da oltre un secolo si vota sempre il
secondo martedì di novembre, il Presidente si insedia sempre allo
stesso giorno, ecc.
In
Italia si invoca continuamente "un Paese normale" ma è
ancora lontana la democrazia "normale". Praticamente, ad
ogni tornata elettorale, si vota con una legge diversa. Il fatto è
che fra le promesse delle campagne elettorali e la loro realizzazione
si insinua - e spesso a ragione - il populismo di chi
opportunisticamente valorizza le inadempienze. È campagna elettorale
quotidiana far funzionare i trasporti, mantenere pulita la
città, rispondere ai bisogni sanitari con qualità, equità,
tempestività. Il SI’ al referendum semplifica ed accelera le
procedure e la attività legislativa? Benissimo! È tutto credibile
se i fatti sono più forti delle procedure.
Ci sono
materie e scelte che sembrano "non azzeccarci" con la
campagna elettorale quotidiana, eppure sono quelle che modificano la
mentalità, che diffondono una cultura, che rafforzano la
cittadinanza glocal. Se il riferimento è la ‘pancia’ (che
espressione volgare!) del Paese è evidente che non c’è la
politica ma solo il populismo - in USA come in Europa – chi
risolverà i problemi dei cittadini? Da "déracinée"
(sradicata) vivo in tre città: lavoro a Roma, risiedo a Milano,
abito vicino a Verona. Faccio il tifo per i loro amministratori
(conosco la fatica) ma vedo e subisco anche le difficoltà degli
amministrati.
Ci sono
difficoltà persistenti nelle giornate dei “cittadini qualunque”
i quali hanno bisogno di soluzioni nemmeno troppo difficili. Per
esempio l’uscita di Verona sud verso l’Ospedale Borgo Roma è
pericolosissima: c’è un semaforo che blocca il traffico in uscita.
Basterebbe togliere il semaforo e fare una grande rotonda; certamente
siamo in presenza di due diverse autorità competenti e perciò a chi
tocca? Forse un sindaco che viaggia come i cittadini se ne farebbe
carico. A Roma ci sono semafori che consentono contemporaneamente le
svolte con freccia e il percorso lineare: a chi tocca verificare una
soluzione meno pericolosa? Le violenze in strada, di ogni tipo,
suscitano domanda di sicurezza alle amministrazioni. Se un cittadino,
che rispetta i divieti, subisce gravi lesioni da parte di chi viola
la legge, la reattività dei cittadini potrebbe non essere placata
con le sole promesse. Più telecamere (è inutile invocare la privacy
dopo tanto esibizionismo sui social), più punti luce, più
distribuzione delle forze dell’ordine: nuclei di vigili urbani,
carabinieri e militari sono spesso ammassati nello stesso luogo.
A chi
tocca coordinare la loro più utile e diffusa presenza? Ai cittadini
non possiamo rispondere che ci sono diverse istituzioni di
riferimento: a loro interessa la soluzione dei problemi. Dobbiamo
continuare? Ogni italiano che torni da un viaggio all’estero
racconta, stupito, quanto siano pulite le strade delle città
visitate. Le città non si sporcano da sole e quindi anche i
cittadini sono responsabili della loro “casa comune”. Le
amministrazioni possono avvalersi di moral suasion o di sanzioni; la
vigilanza urbana punisca chi getta i mozziconi per terra; chi sporca
coi cani i giardini dedicati ai giochi dei bambini; chi sosta in
seconda fila con le quattro frecce accese.... Invitino gli esercizi
pubblici - uffici, bar, ristoranti - ad avere fuori dei
loro ingressi dei contenitori per le sigarette: si può
alleggerire la tassa sui rifiuti o comminare multe salate... I
ministri, i sindaci, i direttori generali provino a mettersi nei
panni dei cittadini utenti: provino ad espletare una pratica
all'Inps; vedano un insegnante vincitore di concorso che si presenta
nella scuola assegnata e il dirigente scolastico lo rifiuta "perché
non c'è il posto!" (non è uno scherzo!); oppure
accompagnino l'avvio di una start up: calvario per le
pratiche e per ottenere il credito; prenotino un esame diagnostico;
visitino un girone infernale dei Pronto Soccorso. Se le
soluzioni trovate saranno di soddisfazione, avranno conquistato la
fiducia degli elettori verso le istituzioni .
La
morale è che se l’esempio non viene dall’alto e se ciascuno non
rispetta il proprio ruolo, vince “chi me lo fa fare?”, “fanno
tutti così!” Di questo passo vince la ‘pancia’ e non la
convivenza democratica fondata su civismo e passione civile. (m.g.)