venerdì 29 gennaio 2016

Avvenire / 15 gennaio 2016

DONNA E BAMBINO NON SONO OGGETTI

La «stepchild adoption» non è un problema dei cattolici, perché riguarda profondamente valori culturali e di civiltà. A chi giova alzare le barricate fra cattolici e non? I cattolici in politica impegnano se stessi e la loro coscienza, ma non la Chiesa. Anche per questo mi sembra corretto che la Cei non si confonda con un libero movimento di piazza. Del resto l’intervista di monsignor Nunzio Galantino al “Corriere della sera” di mercoledì 13 gennaio ha offerto, con pacatezza, elementi di condivisione. L’adozione, nella coppia di fatto, del figlio di uno dei partner coinvolge giuridicamente ed eticamente diversi protagonisti: l’altro genitore, col quale si è avuto il figlio e, se questo fosse invece frutto di un utero in affitto, anche il raggiro della legge vigente in Italia. 

Inoltre, il nostro Codice Civile e il Codice Minorile, nonché la legge sulle adozioni, già oggi, garantiscono diritti e doveri da parte dei genitori legittimi, anche quando i figli siano entrati a far parte di altri nuclei familiari a seguito di separazioni o divorzi. Piuttosto che dibattiti ideologici è tempo di prendere atto delle conseguenze delle scelte che si compiono. Sono, qui, in gioco due pilastri della nostra civiltà: la indisponibilità della persona (sempre fine e mai mezzo!) e l’intangibilità dell’umanità. Nessuna democrazia ha il diritto, anche con il consenso più ampio, di mettere le mani sulle generazioni future. È interesse della società garantire, con diverso peso, i diritti civili individuali e quelli della comunità familiare che fonda la società. Il dibattito sulla necessità/utilità del riconoscimento delle coppie di fatto ha raggiunto un equilibrio che sarebbe inutilmente alterato dall’insistenza sulla «stepchild». 

È nota una sentenza della Corte costituzionale che definisce «incoercibile» il desiderio di diventare genitori. Si può e si deve osservare che esistono anche il diritto alla salute e altri diritti individuali e di interesse della società, che però non sono sempre esigibili nella loro integrità, perché bilanciati da valori prioritari. Non sono una novità i conflitti tra adulti sulla pelle dei figli. I minori devono avere la primazìa di tutela. A meno che da ora vogliamo stabilire una inversione di valori: che il diritto al figlio, a ogni costo, sia preminente rispetto al diritto del minore a una famiglia. 

Mariapia Garavaglia

(Avvenire, 15 gennaio 2016)

Nessun commento:

Posta un commento