lunedì 13 gennaio 2014

Newsletter - MIX gennaio 2014


SECONDA REPUBBLICA
Mi sono permessa nel breve intervento di cinque minuti (ma sono sufficienti) alla solenne Assemblea Nazionale del PD, l’8 dicembre a Milano, di ricordare al neo segretario Matteo Renzi che ora deve inaugurare davvero la Seconda Repubblica. Solo con profonde riforme ordinamentali delle istituzioni si può, infatti, avviare una nuova fase repubblicana. Non possiamo certo chiamare “Seconda Repubblica” quella incominciata con un avviso di garanzia a Napoli. O, peggio ancora, con il terremoto istituzionale del 1992 (si veda come si sono avvicendate le Repubbliche francesi).
E’ arrivata davvero la stagione dei doveri: per i rappresentanti eletti, ma anche per ciascun cittadino.
Sta manifestandosi una certa insofferenza verso il linguaggio violento e volgare che, soprattutto la Rete, diffonde senza ritegno. Purtroppo è un linguaggio che cattivi maestri, in anni non ancora lontani, hanno usato per lotte politiche che hanno lasciato vittime sul campo.
La Rai, in questi giorni, opportunamente sta offrendo delle fiction che ricordano tre eroi di quegli anni: il commissario Calabresi, il giudice Sossi e un dirigente Fiat. Simbolo, che tutti rappresenta, è certamente Aldo Moro. Forse la Seconda Repubblica non è mai nata perché non ci fu un’analisi accurata, profonda e condivisa, sia dei movimenti del ’68 che degli anni di piombo. Mi sembra anche che non siano state fatte sufficienti analisi nemmeno degli esiti delle campagne elettorali seguenti come pure - temo- dell’ultima tornata elettorale, che ha visto il PD perdere la sua occasione storica.
Invocare le riforme e non farle tempestivamente produce ulteriori “macerie” istituzionali e porta consenso all’antipolitica. L’attuale parlamento rispecchia le eccessive incertezze che si sono protratte per due decenni. I risultati del 1994 sembravano voler ripulire il Paese dopo le vicende del 1992 e quelli sperati nel 2013 esprimevano l’esigenza di chiudere le esperienze alla Fiorito, Belsito ecc. Non è elegante citare i nomi (Scilipoti o Turigliatto divennero paradigmi), ma l’attuale comunicazione personalizza sia nel bene che nel male. Ai nuovi strumenti di comunicazione, ricchi, efficaci e flessibili dobbiamo il risultato di diffondere l’informazione politica, purtroppo insieme anche ad uno stile di aggressività inutile, che nasconde la pochezza degli argomenti e delle qualità culturali dei protagonisti. Ne deriva una grande responsabilità nella formazione e selezione della classe dirigente. Il PD, che pure ha coraggiosamente introdotto il metodo delle primarie, si è trovato con le parlamentarie (primarie chiuse e svoltesi al 30 dicembre!) ad attuare una rottamazione silenziosa, i cui risultati hanno prodotto gruppi parlamentari che non rispettano le regole di una comunità politica: basti l’esempio dei 101!
Il fatto è che il presidente Letta, durante la conferenza stampa di fine anno, ha richiamato il cambio generazionale come un risultato di cui essere fieri. Enrico Letta ricorderà - per citare solo Gianni Goria e Cossiga- i precedenti di giovanissimi arrivati alle più alte cariche dello Stato che, come lui, venivano da tradizioni con radici culturali e formazione coltivate ai vari livelli professionali e istituzionali, a partire dai territori.
Purtroppo, invece, nonostante lo spred arrivato ai livelli pre-crisi, nella consapevolezza pubblica rimane il disagio delle tasse sulla casa dai nomi ballerini e ancora non definiti; la legge di stabilità e un decreto non firmato dal Capo dello Stato. Le competenze esigono tirocinio e continuo studio e aggiornamento e ciò vale tanto più oggi che abbiamo partiti meno strutturati e verticistici, mentre tempo addietro l’organizzazione suppliva ai deficit di preparazione. Matteo Renzi, che è impegnato in una riforma elettorale che consenta a chi ottiene il maggior consenso del Paese di governare per l’intera legislatura, potendo attuare il programma presentato, dovrà impegnarsi anche per ridare al partito la funzione, la forza e la responsabilità della selezione della sua classe dirigente interna e nelle istituzioni. Il suo attivismo di pressione per accelerare i tempi, si deve riconoscere che è esigito dal fatto che abbiamo acquisito la consapevolezza che gli attuali organi non sono stati in grado, fino ad oggi, di autoriformarsi. (m.g.)

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