lunedì 12 marzo 2018

MIX Newsletter / Marzo 2018 / Editoriale


PROVARE

La democrazia è questa: la maggioranza ha sempre ragione (non necessariamente con ragione) e ogni voto ha lo stesso valore: quello del premio Nobel come quello di una persona incolta.
I risultati delle recenti consultazioni hanno stupito tutti: vincitori e sconfitti. Sorprendente è stato constatare che la legislatura appena conclusa, nonostante sia stata molto produttiva ed abbia avviato l’uscita dalla crisi, non abbia procurato consenso ai partiti che hanno sostenuto il governo. Ma non è la prima volta che quando il vento cambia le sorprese non mancano. Ci sono esempi storici come la sconfitta alle elezioni di Churchill, che aveva vinto la guerra. Soprattutto si sapeva che con l’attuale legge non si sarebbe conosciuto, ad urne chiuse, chi avesse la responsabilità di governare. Una pessima legge perché non ha raggiunto nemmeno l’ipotesi subordinata di costringere ad allearsi e far vincere una coalizione.
All’entusiasmo per il successo conseguito, nei vincitori è subentrata l’ansia di non poter realizzare l’agognato ingresso a Palazzo Chigi.
Nel Centrodestra con “cortesia” gli alleati non possono che ripetere vicendevolmente che i patti devono essere osservati e che ha diritto ad aspirare alla premiership l’onorevole Salvini. Nel Movimento 5 Stelle non può nemmeno porsi un sottile conflitto, perché non è mai stata messa in discussione la candidatura di Luigi Di Maio. Entrambi alla ricerca di una maggioranza: perché? E con chi? Semplice, perché bisogna provare a governare!
È stata una campagna senza esclusione di colpi ed è ovvio che i toni sono stati più alti del necessario e spesso anche esageratamente oltre i limiti, con una violenza verbale, quando non anche volgare, non adatti a mantenere serena la società. Anzi, in occasione di tragedie (Macerata e Latina) alcune forze non hanno esercitato la loro alta funzione di guida della democrazia, ma di fomentatori.
Per costruire una maggioranza ci vorrà tempo, perché prima deve smaltirsi la zavorra di scontri pesanti, troppo recenti. 
Ma soprattutto i vincitori dovranno tenere fede a impegni difficilmente realizzabili nel breve tempo, considerando la difficoltà di formare un governo. Questo non è solo un diritto, ma un dovere che gli elettori hanno solennemente affidato loro: ”Fierce urgency of now” (M.L. King).
Approfittando di una bellissima cerimonia al Quirinale, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, il Presidente Mattarella ha ricordato con che metodo avessero lavorato partiti tanto distanti tra loro, ma quanto dediti all’interesse generale del Paese, al tempo della Costituente ed anche nella cosiddetta Prima Repubblica, nella stagione di grandi riforme. Tra i presenti, nella Sala dei Corazzieri, forse solo Mattarella, Napolitano ed io eravamo stati partecipi di quella stagione, perché Finocchiaro e Bindi – anch’esse presenti alla cerimonia – sono più giovani. Particolarmente ricordo quanto tra donne si facesse massa critica su alcuni dei provvedimenti che hanno segnato il progresso civile e sociale nelle materie che hanno riformato i Codici Civile e Penale. Il Capo dello Stato ha esortato ad imitare “quella attitudine del senso di responsabilità e interesse generale del Paese”.
Si sprecano le affermazioni di fiducia nella sua saggezza - e rincuorano - tuttavia non tocca a lui comporre il governo, ma solo garantire procedure e risultati corrispondenti alle conclusioni cui arriveranno i partiti. In base ai numeri ogni alleanza fra compagini così diverse sembra innaturale. Molti sono alla ricerca di precedenti cui legare anche l’eventuale intervento pedagogico del Capo dello Stato. Si può ricordare il precedente del governo Ciampi che servì a decantare gli animi per presentare una nuova legge elettorale -dopo il referendum Segni - che, appena approvata, fece fare ad Occhetto la sconsiderata scelta di chiedere subito le elezioni anticipate. Fu un governo ‘tecnico”, non di tecnici.
Non c’è dubbio che eventuali e sconsiderate nuove elezioni ravvicinate rappresenterebbero un vero pericolo per la democrazia rappresentativa. Probabilmente è chiaro a tutti che occorre ripensare la legge per averne una che consenta davvero di conoscere, alla apertura delle urne, chi è il vincitore. Ci sono esempi in Paesi europei che potrebbero suggerire un avvicinamento di metodi che man mano possono armonizzarsi in vista della desiderabile e auspicata formazione degli Stati Uniti d’Europa, nonostante questo sogno sembra allontanarsi di più, data la pessima iniziativa assunta da otto Stati europei capeggiati dall’Olanda, che intimano un rallentamento del processo di integrazione (come se la caverà da solo un singolo Paese europeo contro l’antiglobalizzazione di Trump?). Purtroppo questi troverebbero una sponda anche tra i partiti italiani che hanno vinto le elezioni e questo è un argomento da tenere in considerazione nel cercare la maggioranza in parlamento.
Sono molte le riflessioni suscitate dallo svolgersi della campagna elettorale. Anni fa eravamo storditi dall’eccesso di manifesti appiccicati su tutti i muri, anche fuori dagli spazi consentiti. Questa volta era tristissima l’immagine dei tabelloni che recavano, invece, la scritta “spazio non assegnato”, perché non richiesto. Non mi è parso una bella idea, perché non tutti i candidati sono televisivamente conoscibili né le fotine di Facebook o Wattsapp raggiungono tutti gli elettori; un viso, una frase, un simbolo tornano più facilmente alla memoria quando si è nella cabina elettorale. La Rete è un formidabile strumento di dilatazione di notizie e informazioni, tuttavia un clik impedisce le relazioni faccia a faccia, la rettifica di notizie erronee o false, e l’approfondimento delle idee. Senza la sferzante affermazione di Umberto Eco: “internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar e subito venivano zittiti”, ricordo che Obama recentemente ha commentato che i social sono pericolosi per la democrazia. 
I programmi anche quando urlati in campagna elettorale, devono proporre idee, altrimenti suscitano interesse solo per contingenti e immediati interessi dei cittadini: si guardino le cartine di come l’Italia si è caratterizzata col voto. Il nord leghista e il sud 5 Stelle. Gli Italiani nel 1994 si erano specchiati in Berlusconi, imprenditore di successo, uomo brillante che prometteva agli elettori successi e fortune simili. Il sud si è specchiato in un movimento che offre 780 euro al mese. Per la Lega, che ha cancellato dal simbolo il nord, vale invece un criterio che considero importante politicamente, che è il radicamento territoriale. Le divisioni sono anche interne alle aree colorate in modo omogeneo. Era già stato descritto il Paese pervaso dal rancore sociale per cui è indispensabile che i partiti leggano i dati nel dettaglio e non sommariamente. Per esempio si verifichi la differenza fra il voto delle città al centro e delle periferie, nonché l’età degli elettori che emerge chiaramente nei voti per il Senato. Le persone più adulte hanno potuto comprendere meglio le proposte meno improbabili e più credibili. Non è affatto un retaggio ‘antico’ perché senza politica non c’è società e senza società non ci sono riscontri per la rappresentanza. E in questo senso francamente ritengo che non si possano eleggere candidati in 2, 3, 5 collegi; ogni cittadino deve poter contare su chi si cimenta sul suo territorio, ‘mette la faccia’, si fa controllare e interagisce anche dialetticamente (cioè anche contestato) per divenire interprete, perché conoscitore della quotidianità dei propri concittadini. Conseguentemente ritengo anche che sia da archiviare la favola delle primarie, in quanto esigerebbero un sistema elettorale completamente diverso. Non si può impedire al chiunque di porre una firma e di offrire un obolo per poter partecipare… E’ il voto vero che sceglie gli eletti, per cui nonostante tutto ci vorrebbero le preferenze o meglio ancora il maggioritario. Altra esigenza dei cittadini è di poter contare su rappresentanti che ad ogni livello assumano un solo incarico (anche questo è un argomento che suscita non poche critiche).
Se, come è vero e costituzionalmente affermato, i cittadini hanno diritto a votare, varrà la pena di tenere in considerazione alcune avvertenze.
Se si vota in un solo giorno e di domenica, durante il campionato di calcio, moltissimi sono gli italiani fuori sede per le trasferte delle proprie squadre...se si svolgono eventi importanti, come ad esempio domenica 4 marzo la fiera dell’antiquariato a Parma con cinquemila espositori, diventa difficile che possano votare nei luoghi di residenza. Anche i collegi esteri meriterebbero molta più attenzione.
E’ troppo, nel Paese di industria 4.0, attivare il voto elettronico, O almeno tornare ai due giorni? In compenso ci sono stati migliaia di dipendenti di servizi pubblici che hanno esercitato il diritto ad essere impegnati nei seggi. Non è prevalente il diritto di tutti cittadini ad avere a disposizione i mezzi di trasporto efficienti in un giorno delicato? Credo che a questi lavoratori si possa applicare un particolare obbligo di presenza per legge, come accade per altri servizi di rilievo pubblico.
Si forma la comunità anche con il bilanciamento degli interessi comunitari: condividere e partecipare alle occasioni che riguardano la vita di tutti e di ciascuno, con consapevolezza, costruisce relazioni positive. Purtroppo l’individualismo ha avuto il sopravvento anche a causa di una politica che ha puntato esattamente sulla difesa dell’individuo e sull’ampliamento delle paure nei confronti del futuro, del nuovo, del diverso. Il neoliberismo ha fatto vincere il consumismo come criterio per misurare le differenze e queste si sono dilatate. Invece tocca alla politica ridurle e animare la speranza che il domani può essere più ricco di progresso e di sviluppo con l’impegno di tutti, sentendosi anche orgogliosi di ciò che si è fatto e si è in grado ancora di fare. E’ lontano il messaggio di Aldo Moro che prevedeva che “la stagione dei diritti sarà effimera se non sorgerà una stagione dei doveri”. La politica ha cavalcato l’indifferenza di chi dice “non mi tocca; fanno tutti così; chi me lo fa fare”… In questo modo peggiorano non solo i sentimenti, ma anche le nostre città, i nostri paesi: le nostre case comuni. Perché nessuno rispetta la strada, il prossimo, le regole e ciascuno si aspetta che siano gli altri - il Comune, la Regione, lo Stato - a rispondere.
Non funziona così: “Non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, ma cosa puoi fare tu per il tuo Paese”. (J.F. Kennedy)

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