venerdì 16 marzo 2018

MIX Newsletter / Marzo 2018 / Aldo Moro





16 Marzo - 9 Maggio 1978 
è cambiato il destino 
della Repubblica

RICORDARE 
per IMPARARE

Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce.
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui.” (Paolo VI, funerale di A. Moro). La struggente preghiera di Paolo VI (che fu amico di Moro dai tempi della FUCI - Federazione Universitari Cattolici Italiani, di cui Moro era Presidente e Montini l’Assistente Ecclesiastico – comprendeva sentimenti che nessuna dichiarazione politica avrebbe potuto esprimere meglio.
È necessario conoscere l’evento che 40anni fa ha segnato la storia di un uomo e di una intera nazione. Mi auguro che la ricorrenza, molto illustrata dalla televisione e da un bellissimo docufilm di Ezio Mauro, sia stata utile a far conoscere, anche a chi era troppo occupato nei dilemmi post elezioni, la tragedia Moro, perché “a loro insaputa” ha condizionato la politica del Paese fino ad oggi; forse i risultati del 4 marzo sono addirittura conseguenza di un fatto che ha segnato il destino della nostra Repubblica.
Oso sperare che tutti i giovani politici di oggi leggano libri, si incuriosiscano - la curiosità, virtù degli intelligenti (Einstein) - e i parlamentari si informino dalla relazione presentata a fine legislatura dalla Commissione Fioroni.
Gli allievi di Moro furono allenati dal loro Maestro alla curiosità, alla disanima, all’approfondimento del pensiero, al dialogo. Ogni lunedì, mercoledì e venerdì faceva lezione alle nove e dopo si soffermava, anche un paio di ore, a discutere con gli allievi, di tutto, anche di cinema, di cui era un appassionato cultore. Alcuni giornalisti chiedano pure a quegli studenti se Moro aveva un parlare oscuro, difficile, ecc.
Un allievo del moroteo professor Pietro Scoppola, Marco Damilano ha scritto un bel libro “Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia”: con ricordi autobiografici fa rivivere a chi fu contemporaneo della strage sentimenti mai più accantonati, e chiede a chi nulla sa né ha vissuto di quel tragico momento la responsabilità di informarsi. Attuale – attualissima! – la lezione di politica praticata secondo una visione che faceva dell’interesse generale il punto di arrivo di ogni confronto interno ed esterno al suo partito, la DC. Il giovanissimo costituente (fu eletto alla Costituente a 29 anni) fece del servizio alle istituzioni la sua stella polare. Il discorso tenuto il 28 febbraio 1978, che viene considerato il suo testamento, rimane una lezione di come affrontare le svolte difficili nella vita democratica del Paese. In quel giorno si discuteva, all’interno dei gruppi DC (Camera e Senato) se inserire i comunisti nel governo o escluderli, pretendere nuove elezioni anticipate - le terze in pochi anni - ed, eventualmente, passare all'opposizione. Moro pronunciò un lungo e complesso discorso di mediazione, dietro il quale si nascondeva una posizione netta: sarebbe stato sbagliato andare alle elezioni e si dovevano accogliere, almeno in parte, le richieste comuniste, facendo entrare il Pci nella maggioranza.
All’interno del suo partito le perplessità (che eufemismo!) erano diffuse e profonde.
Dopo la sconfitta alle elezioni amministrative del 1975 il governo delle principali città italiane era passato al PCI (ricordo le manifestazioni sotto la sede della DC, di Milano, in Via Nirone, dove mi trovavo), al Presidente del partito era chiaro che “l’avvenire non è più, in parte, nelle nostre mani”. Era il tempo in cui Moro vedeva non solo la crisi di un partito, della politica, ma dello Stato: “E’ in atto quel processo di liberazione che ha nella condizione giovanile e della donna, nella nuova realtà del mondo del lavoro, nella ricchezza della società civile, le manifestazioni più rilevanti. E’ un moto indipendente dal modo di essere delle forze politiche, alle quali tutte, comprese quelle di sinistra, esso pone dei problemi non facili da risolvere. Un moto che logora e spazza via molte cose e tra esse la ‘diversità’ del Partito Comunista. Ecco anima la lotta per in diritti civili e postula una partecipazione nuova alla vita sociale e politica”. Per Moro la politica era “aderenza alla realtà e dominare con intelligenza di avvenimenti”, perciò sapeva quanto anche fuori dai confini dell’Italia (USA, URSS, NATO) l’impresa cui si aggingeva suscitava una preoccupata e preoccupante attenzione.
Affermava in quel discorso: “Sappiamo che vi è diffidenza, in attesa di un chiarimento ulteriore sullo sviluppo delle cose (…). Si domanda che cosa accadrà dopo, qualora noi riuscissimo a realizzare la concordia necessaria per questo anno che ci sta davanti. Credo di poter dire che in questo anno non vi sarebbero da temere sorprese. Se voi mi chiederete fra qualche anno cosa potrà accadere (parlo del muoversi delle cose, del movimento delle opinioni, della dislocazione delle forze politiche), io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà”. La competenza, la profonda conoscenza della storia delle istituzioni e del Paese, nonché la grande esperienza maturata in molti anni di parlamento (non il giovanilismo e ancora meno l’eccessivo ricambio dei parlamentari) consentivano di poter avere la consapevolezza di quali fossero le scelte e “le conseguenze delle conseguenze” della politica, alta e buona. L’impreparazione rende sottomessi ai “capi”.
Il metodo era il dialogo e la finalità il confronto. A Zaccagnini scrisse che l’operazione era di solidarietà nazionale e non di compromesso ancorché storico, perché questo comporta avvicinarsi da una parte all’altra fino a metà.
In questi giorni c’è chi per raggiungere un compromesso evoca i governi programmatici di De Gasperi. Allora i programmi erano impostati sui principi e sulla visione di una collocazione dell’Italia nell’Occidente, fondati sul riferimento culturale al cattolicesimo democratico.
Le celebrazioni, le rievocazioni nei giorni del quarantennale della strage di Via Fani non hanno lenito una ferita che rimane non solo aperta, ma purulenta: le sue secrezioni hanno infettato anche queste giornate.
Inaccettabile che gli assassini terroristi abbiano avuto una tribuna mediatica attraverso la TV di Stato (i dirigenti avrebbero dovuto trarre qualche conclusione). Questi devono sparire nel silenzio totale: dimenticarli senza dimenticare le loro vittime e il significato della loro vita.
La Costituzione, che compie 70 anni, fu fondata sul sacrificio di generazioni che lottarono per la libertà; la nostra attuale Repubblica merita almeno l’impegno di studio e l’approfondimento sulla sua storia, sul valore intangibile delle istituzioni democratiche, sulla nobiltà della politica come servizio al presente e al futuro degli Italiani.



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