domenica 2 luglio 2017

MIX Newsletter / Giugno 2017 / Editoriale

GIALLO ARANCIONE

Quercia, margherita, Ulivo... nomi simbolici e significativi nella evoluzione di partiti storici: da orti botanici sono diventati orticelli e spariti. 
Negli ultimi tempi sono apparsi colori per indicare qualche ulteriore innovazione nel messaggio rivolto agli elettori: t-shirt gialle del Pd per pulire la città, o per la marcia di Grillo ad Assisi; arancione il colore delle elezioni di Pisapia, della bandana di De Magistris, e di vari  gruppi tesi a proposte innovative.
Sono colori solari, di forza e vigore: quello che serve a risvegliare passione civile contro apatia e delusioni. Se alla politica chiediamo efficienza e trasparenza - solare - urge partecipare. 
La partecipazione ha avuto una stagione trionfante, perché chiedeva alla politica  cambi di prospettiva, riforme per affermare nuovi diritti; è subentrata diffidenza, delegittimazione, col corollario di astensionismo e populismo. 
I Partiti che sono lo strumento - costituzionalmente previsto e protetto -  per la partecipazione dei cittadini “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art.49) sono sostituiti da movimenti incapaci di condensare gli obiettivi.  A chi giova temere lontani i cittadini dalla politica?
Ebbene anche l'occasione principe di partecipazione, fondamento della democrazia - le elezioni - in questo momento rappresentano un tormentone che non suscita  entusiasmo fra i protagonisti, figurarsi tra gli elettori. Ci stiamo appassionando alle elezioni negli altri Paesi europei, soddisfatti dei risultati antipopulisti prima in Olanda e poi in Francia. Abbiamo espresso giudizi esaltanti quasi fossero nostre conquiste: un pò provinciali. Il dato è che negli altri Paesi europei le leggi elettorali non cambiano ad ogni tornata elettorale e  davvero, ad urne chiuse, conoscono chi è destinato a governare e a presentare il governo in pochi giorni! 
Macron ha presentato ai francesi un movimento nuovo, ma che si è strutturato immediatamente e organizzato come un nuovo partito. 
Anche in Italia nel 2008 si è offerto agli Italiani un partito "nuovo e diverso" - il Partito Democratico - che chiudeva la cosiddetta Prima Repubblica, caratterizzata prima dalla clausola ad escludendum e poi da maggioranze tanto variabili da covare al loro interno  il virus della instabilità, fino ad avere alleati che procuravano crisi di governo per l'interesse contingente di parte anziché del Paese. 
Di riforma in riforma siamo al modello tedesco. Se si deve copiare, tanto vale prendere il modello interamente originale. È pur vero che ormai in Italia è sfuggito il traguardo del bipolarismo (del bipartitismo nemmeno l'ombra!), ma proprio per questo sarebbe necessario un meccanismo che attragga l'interesse dell'elettore  per scegliere e specchiarsi nel suo rappresentante. 
La rinuncia del Pd alla vocazione maggioritaria ha danneggiato l'intero sistema dei partiti; avrebbe potuto indurre una evoluzione generale positiva. A danno fatto, almeno non perseverare. Non ha senso la candidatura multipla: ogni candidato prima, ed ogni eletto dopo (sia pure senza vincolo di mandato), deve essere riconoscibile, controllato, seguito dai propri elettori. 
Ha senso, invece, la scelta da parte dei partiti: si prendano la loro principale responsabilità di presentare e sostenere la classe dirigente che propongono al Paese. Questo metodo contrasta con la logica delle primarie o le parlamentarie, perché qualche migliaio di click o anche qualche migliaia di cittadini ai gazebo non possono significativamente rappresentare la generalità dell’elettorato. Del resto si incaricano i sondaggi di disilluderci rispetto alle attese. 
In questi giorni non sono mancati segnali da parte dei cittadini elettori contro la superbia e la prepotenza dei leader, sia in Gran Bretagna che in Italia. Come è interessante analizzare ceto sociale ed età degli elettori,  sia in relazione alla preferenza di voto che di consenso al singolo leader: se ne ricaverebbero indizi preziosi. 
Senza bipartitismo - o bipolarismo - non ha senso nemmeno l'identificazione fra segretario del partito, che ottiene il maggior consenso, e primo ministro. Anzi: in una alleanza di governo è più indispensabile guidare un partito coeso, che mantiene la dialettica del confronto col governo, nella attuazione del programma concordato, e con l'opinione pubblica da accattivare sulle proprie posizioni. 
E serve parlare, spiegare, ascoltare e incontrare: i social dilatano, ma non sostituiscono la platea di persone fisiche, da guardare negli occhi, perché sentano e vivano la politica. Non c'è dubbio che la situazione attuale è figlia del risultato del referendum dello scorso 4 dicembre. Chissà fino a quando non sarà più ripreso il cammino delle riforme, visto che coloro che fingono di salvarsi l'anima spostando l'attenzione sui vitalizi stanno cercando una legge che salva i loro seggi, non più denunciati come troppi (col referendum il prossimo parlamento sarebbe stato ben dimagrito!). (m.g.)

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