venerdì 14 ottobre 2016

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CAMPAGNE ELETTORALI

È tutta una campagna:  Gran Bretagna, Stati Uniti , Austria, Russia, Ungheria, Colombia, Italia: che sia per un referendum o per le elezioni politiche non c'è convocazione di elezioni che non crei una eco, che rimbomba in ogni punto cardinale. Effetto collaterale della globalizzazione? I referendum, che siano obbligatori per legge o 'rischiati' dai governi, stanno interpretando il peggio del populismo. Non sono ignoranti i cittadini elettori, o disinformati: semplicemente votano contro. E senza pensare al futuro, come per la Brexit o la Svizzera o l' Ungheria. La globalizzazione ha portato, con grandi vantaggi, molte paure e i politici miopi le cavalcano. Il populismo si batte con le politiche ardue, utopiche ma facilmente interpretabili dai cittadini, altrimenti vale sempre "non nel mio giardino". Tocca sempre agli altri: al governo, alla scuola, alla sanità, al vicino: mai a me.
Perfino nella più solida e antica democrazia, il cosiddetto establishment è rifiutato al punto di avere una candidato iperpopulista come Trump contro una donna di qualità, competente e preparata, perché interna all'establishment, Hillary Clinton.
Le campagne elettorali, anche le più impegnative per la posta in gioco, si combattono giorno per giorno non con gli slogan, talk show, social, ma dimostrando interesse per i bisogni dei singoli e della comunità. Sta emergendo da tante  evidenze che  la politica esige competenza. Sia che si tratti di politica interna che estera; anzi, i risultati più importanti per ogni scelta interna non prescindono da una intensa e prestigiosa politica estera. Non disponiamo più nè di Kohl, nè di Churchill, o di De Gasperi, e neppure di Andreotti o Moro, ma a questi possono ispirarsi Merkel, Hollande, Renzi, ecc. L'Europa è troppo vicina all'implosione: non si può assecondare l'idea che "Bruxelles non ci dà ordini!" A Bruxelles si deve vincere il nazionalismo di poco respiro. Se serve difesa comune, si vuole un ministro delle finanze comune, se c'è un alto rappresentante comune per la politica estera e c'è una moneta unica urge lavorare sulla unificazione politica. Deve essere una marcia forzata per poter evitare quanto sta accadendo: che alcuni partner succhino miliardi di fondi strutturali e calpestano i principi fondanti dell'Unione. Finalmente i cittadini sarebbero parte di una patria e non 'sudditi' di Bruxelles. Gli Stati Uniti d'Europa devono diventare un sogno condiviso, un’ansia di successo dei nostri popoli, perché si diverrebbe lo Stato più forte economicamente, in pace, e dalla solida cultura democratica.
In Austria bisogna ripetere le elezioni per calcoli sbagliati; in Spagna forse si dovrà rivotare perché non si forma una sufficiente maggioranza a sostegno del governo; in Italia, alla ricerca di una legge elettorale che garantisca la governabilità, siamo sul punto di doverla modificare prima ancora che sia messa alla prova... Invece negli Stati Uniti d'America da oltre un secolo si vota sempre il secondo martedì di novembre, il Presidente si insedia sempre allo stesso giorno, ecc.
In Italia si invoca continuamente "un Paese normale" ma è ancora lontana la democrazia "normale". Praticamente, ad ogni tornata elettorale, si vota con una legge diversa. Il fatto è che fra le promesse delle campagne elettorali e la loro realizzazione si insinua - e spesso a ragione - il populismo di chi opportunisticamente valorizza le inadempienze. È campagna elettorale quotidiana  far funzionare i trasporti, mantenere pulita la città,  rispondere ai bisogni sanitari con qualità, equità, tempestività. Il SI’ al referendum semplifica ed accelera le procedure e la attività legislativa? Benissimo! È tutto credibile se i fatti sono più forti delle procedure. 
Ci sono materie e scelte che sembrano "non azzeccarci" con la campagna elettorale quotidiana, eppure sono quelle che modificano la mentalità, che diffondono una cultura, che rafforzano la cittadinanza glocal. Se il riferimento è la ‘pancia’ (che espressione volgare!) del Paese è evidente che non c’è la politica ma solo il populismo - in USA come in Europa – chi risolverà i problemi dei cittadini? Da "déracinée" (sradicata) vivo in tre città: lavoro a Roma, risiedo a Milano, abito vicino a Verona. Faccio il tifo per i loro amministratori (conosco la fatica) ma vedo e subisco anche le difficoltà degli amministrati.
Ci sono difficoltà persistenti nelle giornate dei “cittadini qualunque” i quali hanno bisogno di soluzioni nemmeno troppo difficili. Per esempio l’uscita di Verona sud verso l’Ospedale Borgo Roma è pericolosissima: c’è un semaforo che blocca il traffico in uscita. Basterebbe togliere il semaforo e fare una grande rotonda; certamente siamo in presenza di due diverse autorità competenti e perciò a chi tocca? Forse un sindaco che viaggia come i cittadini se ne farebbe carico. A Roma ci sono semafori che consentono contemporaneamente le svolte con freccia e il percorso lineare: a chi tocca verificare una soluzione meno pericolosa? Le violenze in strada, di ogni tipo, suscitano domanda di sicurezza alle amministrazioni. Se un cittadino, che rispetta i divieti, subisce gravi lesioni da parte di chi viola la legge, la reattività dei cittadini potrebbe non essere placata con le sole promesse. Più telecamere (è inutile invocare la privacy dopo tanto esibizionismo sui social), più punti luce, più distribuzione delle forze dell’ordine: nuclei di vigili urbani, carabinieri e militari sono spesso ammassati nello stesso luogo.
A chi tocca coordinare la loro più utile e diffusa presenza? Ai cittadini non possiamo rispondere che ci sono diverse istituzioni di riferimento: a loro interessa la soluzione dei problemi. Dobbiamo continuare? Ogni italiano che torni da un viaggio all’estero racconta, stupito, quanto siano pulite le strade delle città visitate. Le città non si sporcano da sole e quindi anche i cittadini sono responsabili della loro “casa comune”. Le amministrazioni possono avvalersi di moral suasion o di sanzioni; la vigilanza urbana punisca chi getta i mozziconi per terra; chi sporca coi cani i giardini dedicati ai giochi dei bambini; chi sosta in seconda fila con le quattro frecce accese.... Invitino gli esercizi pubblici - uffici, bar, ristoranti - ad avere fuori dei loro  ingressi dei contenitori per le sigarette: si può alleggerire la tassa sui rifiuti o comminare multe salate... I ministri, i sindaci, i direttori generali provino a mettersi nei panni dei cittadini utenti: provino ad espletare una pratica all'Inps; vedano un insegnante vincitore di concorso che si presenta nella scuola assegnata e il dirigente scolastico lo rifiuta "perché non c'è il posto!" (non è uno scherzo!); oppure accompagnino  l'avvio di una start up: calvario per le pratiche e per ottenere il credito; prenotino un esame diagnostico; visitino un girone infernale dei Pronto  Soccorso. Se  le soluzioni trovate saranno di soddisfazione, avranno conquistato la fiducia degli elettori verso le istituzioni .
La morale è che se l’esempio non viene dall’alto e se ciascuno non rispetta il proprio ruolo, vince “chi me lo fa fare?”, “fanno tutti così!” Di questo passo vince la ‘pancia’ e non la convivenza democratica fondata su civismo e passione civile. (m.g.)

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