lunedì 16 maggio 2016

Avvenire / Lettere / 14 maggio 2016

Caro direttore, 


il voto sulla legge per le unioni civili ci ha lasciati perplessi per molti motivi. Per ora mi soffermo solo sulla modalità e cioè sul voto “disgiunto”: fiducia e scrutinio palese. In realtà palesi entrambi, ma con diverso peso e finalità. Già le interviste raccolte da “Avvenire” a parlamentari cattolici di partiti della maggioranza ne hanno spiegato la portata. Non votare la fiducia sarebbe equivalso a togliere il consenso al governo con quello che ne segue in termini di stabilità e di continuità nel processo delle riforme. Il secondo voto, invece, è sostegno a una legge che è difficile da accettare nella formulazione finale. Le leggi sono meglio rispettate quando non sono ambigue. Ormai la frittata è fatta. Vorrei solo umilmente ricordare che il referendum sull’aborto vide una percentuale di voti popolari a favore ben superiore (più del 67%) dei voti contrari in Parlamento. Il messaggio è lo stesso: i cattolici sono “irrilevanti” in Parlamento perché nella società non sono vivi e condivisi i valori, di cui sono portatori, fondati su quell’umanesimo di cui c’è tanto bisogno per una convivenza davvero degna. Perciò, direttore, è importante e faticosa la sfida che ci attende. Non ci sarà una nuova generazione di politici cattolici formati, se prima non sarà recuperata la loro formazione sociale. Non si ricattano Governo e Parlamento «ci ricorderemo a ottobre», piuttosto si prepara una generazione che si “sporchi le mani” con la politica. Si incomincia dal basso, anche nelle amministrazioni municipali. Con stima e affetto per tutti i politici che accettano la fatica di questa forma di carità, oggi spesso incompresa. (m.g.)

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