mercoledì 12 aprile 2017

MIX newsletter / Aprile 2017 / Editoriale

W L’ITALIA 
DEMOCRATICA

Ricorrono date che devono essere studiate. Anche chi non amerebbe festeggiare il 25 aprile - data che ricorda la Liberazione dell'Italia da una avventura disastrosa quale fu il ventennio fascista, con nazismo e guerra, con il contorno di leggi razziali - non può non riconoscere che il frutto di quei gravi momenti è la nostra Carta Costituzionale, che ha consentito una riconciliazione nazionale in nome di comuni valori umanistici. 
Da settanta anni un sistema democratico parlamentare riesce ad assumere la rappresentanza di sentimenti, emozioni ed anche ribellioni dei cittadini italiani nel fluire della quotidianità, che oggi non è più legata a fenomeni interni al proprio Paese, ma è collegata e condizionata dagli eventi vicini e lontani dai nostri confini. 
Purtroppo sembra che questa consapevolezza emerga solo in occasione di drammatici fatti: il terrorismo agisce a Parigi o a Stoccolma e improvvisamente sentiamo vicino il pericolo. Abbiamo avuto anni terribili e un’eco - per chi ha vissuto quegli anni - è giunta con la notizia che il Papa ha scelto il carcere di Paliano per celebrare la lavanda dei piedi della Messa in Cena Domini del giovedì santo. È il carcere in cui ho conosciuto i cosiddetti "dissociati". Li incontravo abitualmente con Suor Teresilla Barillà: un angelo per tutti loro. Ormai molti sono tornati alla vita civile e sono testimoni autentici di quanto la loro sconfitta fu merito di una convergenza di forze politiche che hanno anteposto il valore dello Stato alle proprie ideologie.
Oggi sembra manchi una simile concezione di unità a difesa delle fondamenta comuni: il Parlamento è fatto percepire come un luogo di lavoro per ottenere stipendio e pensione e non valorizzato come la più alta espressione della rappresentanza democratica. L'Europa è "matrigna" e la politica è populismo: chi urla di più e usa le espressioni più sguaiate ottiene successo di media e di sondaggi. 
Ovviamente si è giunti a tanto non a caso: qualche ragione deve esserci stata e solo analizzandola si possono correggere le storture. Penso, per esempio, che non siano stati studiati approfonditamente i risultati delle due ultime chiamate alle urne dei cittadini: le elezioni politiche 2013 e il referendum dello scorso 4 dicembre. 
Abbiamo avuto precisi messaggi "contro". Gli elettori hanno protestato sia col voto, non previsto dai sondaggi, sia con l'astensionismo, eppure tanto intuibile se si fossero ascoltati i discorsi "all'aperto" (telefonate alle trasmissioni radiofoniche, gli applausi dei presenti ai talk show, le lettere ai giornali, i dialoghi sui mezzi di trasporto, ecc.). 
L'opinione pubblica come potrebbe appassionarsi a dibattiti inesistenti sui problemi e sulle soluzioni che riguardano la loro vita quotidiana? I partiti cambiano nomi e simboli, ma senza programmi; non riescono ad accordarsi nemmeno sulla legge elettorale, indispensabile per chiedere il consenso dei cittadini su programmi chiari e convincenti. Partiti vecchi e nuovi insistono su ricette senza conferme: la ricerca di volti nuovi della società civile nasconde il vuoto programmatico. E quando i "nuovi" vengono scelti con qualche centinaia o anche migliaia di clic non sono automaticamente pronti e preparati a governare. Addirittura la magistratura deve intervenire su regole interne di partiti 'telematici'. La Costituzione conta sui cittadini che "hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" e, ancora una volta, dobbiamo registrare che in Parlamento giace la proposta di legge Guerini per attuare quel articolo, ma non viene approvata: perché? 
Le esperienze che in varie parti d'Italia stanno dando prova di quanto i cittadini non sono governati, senza che diminuisca il consenso rilevato dai sondaggi, esigono analisi politiche, più che sociologiche. 

Bisogna saper preparare la risposta alla domanda: a cosa serve le politica? (m.g.)

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