Confesso. Non guardo nessun talk show
politico.
Non approfondiscono e piuttosto fanno
spettacolo. La politica è troppo seria per essere ridotta a duelli
di parole, spesso sovrapposte, e ad alti decibel. Mi spazientisco
perché mi aspetto che ci siano delle risposte a questioni che
perfino io saprei documentare e invece i dialoganti vanno per
lucciole...
Di Europa si è, invece, discusso molto
con esperti: la Brexit ha trovato quasi tutti impreparati al
risultato. Quasi tutti! È interessante ascoltare i cittadini per
conoscere che idea hanno di Europa. Convengo che sono utili i
sondaggi, anche se quando si tratta di raccogliere preferenze
politiche, ne abbiamo constatato la limitata veridicità. Al
contrario sono illuminanti le telefonate degli ascoltatori alle
trasmissioni radiofoniche. Anche quando il conduttore è
particolarmente chiaro e preparato non sempre riesce a 'smontare'
l'idea che l'ascoltatore si è prefisso di comunicare. Queste
telefonate per quanto riguarda l' Europa sono interessanti.
Ma vale anche per tutti gli altri
argomenti.
I politici dovrebbero ascoltare. A
fronte di chi ha colto lo stacco storico della Brexit, i più non
temono l'effetto domino: tanto ci sarà sempre l'Europa!
Certamente, ma quale? Il continente che
chiamiamo "vecchio", solo espressione geografica? Il mito
di Europa, prima rapita, a causa della sua bellezza, da Zeus, il re
degli dei, trasferitasi poi in Grecia ha delineato i caratteri
identificativi di una civiltà che può essere riassunta nella
imprecisa radice etimologica: europé, come “ben irrigata”;
oppure europos, come “ampio sguardo”.
Destinata, comunque, a cose feconde e
lungimiranti.
Non è così che gli euroscettici o gli
avversari dell'euro interpretano la nostra vocazione, il destino di
un continente che è il più ricco del globo in termini economici e
di cultura.
Coi suoi 550 milioni di abitanti è in
grado di affrontare le migrazioni di popoli che anelano alla sua
accoglienza.
Eppure queste caratteristiche non sono
quasi mai esaltate e valorizzate. Si ricordano i 'compiti a casa’,
le regole sui prodotti, la invadenza burocratica...
A chi tocca evitare che sia percepita
solo così? In 60 anni i governi hanno preferito 'temporeggiare' nel
cammino verso un grande, potente, democratico Stato Federale. I
nazionalismi e i populismi sono figli di politiche 'euroscettiche' di
governi europeisti.
Si incominciò col bocciare la Comunità
Europea di Difesa (CED) e si è giunti a tollerare i muri, eretti da
Paesi che della UE hanno voluto condividere il mercato unico e non i
suoi principi, alle radici della Unione.
Dopo due guerre sanguinose i padri
fondatori hanno cercato di inverare un sogno: mai più guerre fra
Paesi fratelli, mantenere la pace e la democrazia: su queste
fondamenta creare sviluppo.
De Gasperi, in una conferenza a Parigi,
dal titolo “La nostra patria Europa”, il 21 aprile 1954, si
esprimeva così: "È volontà politica unitaria che deve
prevalere. È l'imperativo categorico che bisogna fare l'Europa per
assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia
sociale che deve anzitutto servirci da guida... Tutta la nostra
costruzione politico-sociale presuppone un regime di moralità
internazionale. I popoli che si uniscono devono elevarsi anche a un
più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati. Lo
sforzo di mediazione e di equità che è compito necessario della
Autorità europea le darà un nimbo di dignità arbitrale che si
irradierà e ravviverà le speranze di tutti i popoli liberi".
Ed è stato così! Fuori dai nostri
confini le guerre invece hanno continuato a minare sviluppo e
democrazia; sempre le divisioni sfociano in conflitti. La ex
Jugoslavia è storia di un ventennio fa; i confini della Crimea hanno
infiammato le ex repubbliche sovietiche, ecc.
Un altro padre fondatore, Robert
Schuman, in una dichiarazione del 9 maggio 1950, vedeva lontano: "La
pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi
creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo
che una Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è
indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche... L'Europa
non potrà farsi in una sola volta… essa sorgerà da realizzazioni
concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto... La
solidarietà di produzione, aperta a tutti i Paesi che vorranno
aderirvi getterà le fondamenta reali della loro unificazione
economica. Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza
distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di
vita e al progresso delle opere di pace".
Il Regno Unito non ha colto questi
caratteri della Unione europea; stava con un piede nel mercato unico,
mantenendo la sua moneta e ottenendo di volta in volta delle deroghe
o delle speciali clausole che non hanno impedito di causarne l’exit.
Dal “no! no! no!” ripetuto per tre
volte e con vigore da Margaret Thatcher per non accettare l'Euro
siamo giunti al no ripetuto dal popolo inglese. In realtà il voto ha
diviso la Gran Bretagna per censo, territorio, anagrafe. Ovviamente
il responso delle urne deve essere sempre rispettato da chi crede e
vuole rafforzare i sistemi democratici, tuttavia i 'pentimenti' del
giorno dopo devono far riflettere su come si impostano le campagne
elettorali e in particolare quelle referendarie.
Esse conducono ad una sentenza secca ed
è facile manipolarla con mancanza di informazione chiara, corretta,
dialetticamente onesta nel presentare le conseguenze delle scelte
alternative.
Ora i governi dei "27" si
sveglino. Ci sono motivi di urgenza economici, di sicurezza, e
politici. Di tanto in tanto qualcuno invoca un ministro europeo - del
tesoro, delle finanze - perché abbiamo una moneta unica, ma i
ministri dovrebbero essere espressione di un governo. L'Alto
rappresentate di Politica estera non è un ministro e fatica a
rappresentare le diverse politiche estere nazionali! Abbiamo
allargato prima di avere un nucleo già divenuto Stati Uniti di
Europa. Di solito le federazioni si sono formate per successive
aggregazioni (quando, in passato, non per annessioni o per
acquisto!).
Un'Europa non coesa nelle politiche
unitarie ha creato problemi di non poco conto sugli scacchieri delle
crisi più difficili (Libia, Siria).
Ci sono molti motivi per diffondere
'voglia di Europa'; si pensi a cosa sarebbe la nostra liretta nei
confronti delle monete forti; a come ci difenderemmo in un mercato
globale dove i concorrenti sono Cina, Usa, Russia.
Tra le realtà più angosciose che
impediscono un sereno sguardo sul futuro è certamente il terrorismo
internazionale che esige coerenza e compattezza di intenti e di
operazioni a livello sovranazionale, con un preciso impegno della
Unione europea, senza le diversificazioni malauguratamente registrate
nelle precedenti crisi citate.
Dacca è l’ultima e dolorosa tappa di
una scia che non si sa quando approderà alla soluzione. La cultura
europea ha in sé capacità interpretative storiche e geopolitiche
che devono essere messe in campo nella solidarietà internazionale.
I nostri euroscettici, che stanno
attivando la campagna referendaria contro le riforme istituzionali
per far cadere il governo Renzi e propagandare l'Italexit, non
imbroglino i cittadini italiani.
Per il futuro delle nuove generazioni
c'è bisogno di una grande Europa unita, che sa garantire i suoi
cittadini di fronte a sfide che non abbiamo ancora idea – oggi - di
quali dimensioni e complessità possano essere, in questo nostro
mondo divenuto 'più stretto'.
In occasione della firma dei trattati a
Roma, il 27 marzo 1957, Adenauer lucidamente affermava: "È con
grande ardore e fiducia che vogliamo affrontare i nostri compiti.
Conosciamo quanto sia grave la nostra situazione che può trovare
rimedio soltanto nella unificazione dell' Europa ... Tutti gli Stati
europei sono liberi di aderirvi ... Il nostro compito è di
collaborare con tutti onde promuovere il progresso nella pace...
Unendosi oggi, l'Europa non serve soltanto i suoi propri interessi e
quelli degli Stati che sono in essa compresi, essa serve anche il
mondo intero".
A questo siamo chiamati oggi più di
ieri e con maggior consapevolezza. (m.g.)
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