sabato 9 luglio 2016

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EXIT? VIVA L’EUROPA!


Confesso. Non guardo nessun talk show politico.
Non approfondiscono e piuttosto fanno spettacolo. La politica è troppo seria per essere ridotta a duelli di parole, spesso sovrapposte, e ad alti decibel. Mi spazientisco perché mi aspetto che ci siano delle risposte a questioni che perfino io saprei documentare e invece i dialoganti vanno per lucciole...
Di Europa si è, invece, discusso molto con esperti: la Brexit ha trovato quasi tutti impreparati al risultato. Quasi tutti! È interessante ascoltare i cittadini per conoscere che idea hanno di Europa. Convengo che sono utili i sondaggi, anche se quando si tratta di raccogliere preferenze politiche, ne abbiamo constatato la limitata veridicità. Al contrario sono illuminanti le telefonate degli ascoltatori alle trasmissioni radiofoniche. Anche quando il conduttore è particolarmente chiaro e preparato non sempre riesce a 'smontare' l'idea che l'ascoltatore si è prefisso di comunicare. Queste telefonate per quanto riguarda l' Europa sono interessanti.
Ma vale anche per tutti gli altri argomenti.
I politici dovrebbero ascoltare. A fronte di chi ha colto lo stacco storico della Brexit, i più non temono l'effetto domino: tanto ci sarà sempre l'Europa!
Certamente, ma quale? Il continente che chiamiamo "vecchio", solo espressione geografica? Il mito di Europa, prima rapita, a causa della sua bellezza, da Zeus, il re degli dei, trasferitasi poi in Grecia ha delineato i caratteri identificativi di una civiltà che può essere riassunta nella imprecisa radice etimologica: europé, come “ben irrigata”; oppure europos, come “ampio sguardo”.
Destinata, comunque, a cose feconde e lungimiranti.
Non è così che gli euroscettici o gli avversari dell'euro interpretano la nostra vocazione, il destino di un continente che è il più ricco del globo in termini economici e di cultura.
Coi suoi 550 milioni di abitanti è in grado di affrontare le migrazioni di popoli che anelano alla sua accoglienza.
Eppure queste caratteristiche non sono quasi mai esaltate e valorizzate. Si ricordano i 'compiti a casa’, le regole sui prodotti, la invadenza burocratica...
A chi tocca evitare che sia percepita solo così? In 60 anni i governi hanno preferito 'temporeggiare' nel cammino verso un grande, potente, democratico Stato Federale. I nazionalismi e i populismi sono figli di politiche 'euroscettiche' di governi europeisti.
Si incominciò col bocciare la Comunità Europea di Difesa (CED) e si è giunti a tollerare i muri, eretti da Paesi che della UE hanno voluto condividere il mercato unico e non i suoi principi, alle radici della Unione.
Dopo due guerre sanguinose i padri fondatori hanno cercato di inverare un sogno: mai più guerre fra Paesi fratelli, mantenere la pace e la democrazia: su queste fondamenta creare sviluppo.
De Gasperi, in una conferenza a Parigi, dal titolo “La nostra patria Europa”, il 21 aprile 1954, si esprimeva così: "È volontà politica unitaria che deve prevalere. È l'imperativo categorico che bisogna fare l'Europa per assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale che deve anzitutto servirci da guida... Tutta la nostra costruzione politico-sociale presuppone un regime di moralità internazionale. I popoli che si uniscono devono elevarsi anche a un più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati. Lo sforzo di mediazione e di equità che è compito necessario della Autorità europea le darà un nimbo di dignità arbitrale che si irradierà e ravviverà le speranze di tutti i popoli liberi".
Ed è stato così! Fuori dai nostri confini le guerre invece hanno continuato a minare sviluppo e democrazia; sempre le divisioni sfociano in conflitti. La ex Jugoslavia è storia di un ventennio fa; i confini della Crimea hanno infiammato le ex repubbliche sovietiche, ecc.
Un altro padre fondatore, Robert Schuman, in una dichiarazione del 9 maggio 1950, vedeva lontano: "La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che una Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche... L'Europa non potrà farsi in una sola volta… essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto... La solidarietà di produzione, aperta a tutti i Paesi che vorranno aderirvi getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica. Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace".
Il Regno Unito non ha colto questi caratteri della Unione europea; stava con un piede nel mercato unico, mantenendo la sua moneta e ottenendo di volta in volta delle deroghe o delle speciali clausole che non hanno impedito di causarne l’exit.
Dal “no! no! no!” ripetuto per tre volte e con vigore da Margaret Thatcher per non accettare l'Euro siamo giunti al no ripetuto dal popolo inglese. In realtà il voto ha diviso la Gran Bretagna per censo, territorio, anagrafe. Ovviamente il responso delle urne deve essere sempre rispettato da chi crede e vuole rafforzare i sistemi democratici, tuttavia i 'pentimenti' del giorno dopo devono far riflettere su come si impostano le campagne elettorali e in particolare quelle referendarie.
Esse conducono ad una sentenza secca ed è facile manipolarla con mancanza di informazione chiara, corretta, dialetticamente onesta nel presentare le conseguenze delle scelte alternative.
Ora i governi dei "27" si sveglino. Ci sono motivi di urgenza economici, di sicurezza, e politici. Di tanto in tanto qualcuno invoca un ministro europeo - del tesoro, delle finanze - perché abbiamo una moneta unica, ma i ministri dovrebbero essere espressione di un governo. L'Alto rappresentate di Politica estera non è un ministro e fatica a rappresentare le diverse politiche estere nazionali! Abbiamo allargato prima di avere un nucleo già divenuto Stati Uniti di Europa. Di solito le federazioni si sono formate per successive aggregazioni (quando, in passato, non per annessioni o per acquisto!).
Un'Europa non coesa nelle politiche unitarie ha creato problemi di non poco conto sugli scacchieri delle crisi più difficili (Libia, Siria).
Ci sono molti motivi per diffondere 'voglia di Europa'; si pensi a cosa sarebbe la nostra liretta nei confronti delle monete forti; a come ci difenderemmo in un mercato globale dove i concorrenti sono Cina, Usa, Russia.
Tra le realtà più angosciose che impediscono un sereno sguardo sul futuro è certamente il terrorismo internazionale che esige coerenza e compattezza di intenti e di operazioni a livello sovranazionale, con un preciso impegno della Unione europea, senza le diversificazioni malauguratamente registrate nelle precedenti crisi citate.
Dacca è l’ultima e dolorosa tappa di una scia che non si sa quando approderà alla soluzione. La cultura europea ha in sé capacità interpretative storiche e geopolitiche che devono essere messe in campo nella solidarietà internazionale.
I nostri euroscettici, che stanno attivando la campagna referendaria contro le riforme istituzionali per far cadere il governo Renzi e propagandare l'Italexit, non imbroglino i cittadini italiani.
Per il futuro delle nuove generazioni c'è bisogno di una grande Europa unita, che sa garantire i suoi cittadini di fronte a sfide che non abbiamo ancora idea – oggi - di quali dimensioni e complessità possano essere, in questo nostro mondo divenuto 'più stretto'.
In occasione della firma dei trattati a Roma, il 27 marzo 1957, Adenauer lucidamente affermava: "È con grande ardore e fiducia che vogliamo affrontare i nostri compiti. Conosciamo quanto sia grave la nostra situazione che può trovare rimedio soltanto nella unificazione dell' Europa ... Tutti gli Stati europei sono liberi di aderirvi ... Il nostro compito è di collaborare con tutti onde promuovere il progresso nella pace... Unendosi oggi, l'Europa non serve soltanto i suoi propri interessi e quelli degli Stati che sono in essa compresi, essa serve anche il mondo intero".
A questo siamo chiamati oggi più di ieri e con maggior consapevolezza. (m.g.)

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