martedì 6 ottobre 2015

MIX Ottobre 2015 / Editoriale


EUROPA, EUROPA

Il fenomeno migratorio - non preventivato in tale dimensione dai politici - è la prova a fortiori di quanto non ci sia una Unione Europea e quanto sarebbe stato utile, invece, uno Stato federale europeo. Per 500 milioni di cittadini europei "l'invasione" di un paio di milioni di disperati, che cercano sicurezza di vita, non avrebbe creato nessuna delle situazioni che siamo costretti a registrare. 
Grave, innanzitutto, che dopo aver direttamente o indirettamente causato le guerre in atto in Medioriente, gli Stati occidentali non abbiano previsto, programmato e organizzato il da farsi. Tutto perché per decenni si è lasciato assopire lo spirito costituente dei Padri fondatori e, forse, perché c'è stato un allargamento eccessivamente accelerato, verso popoli che non erano stati formati democraticamente con i valori condivisi, ma solo ansiosi di entrare in uno spazio economico e monetario. 
Senza fisco comune, leggi comuni, politica di difesa e estera, unica e unitaria, la UE sta languendo, al punto da consentire agli scettici e agli avversari, di suscitare il dubbio che l'Europa sia inutile e dannosa. I comportamenti di chi pretende di dare "compiti a casa", o di prevedere la Grexit, o di accettare la schizofrenia inglese sono i virus immessi nella marcia verso gli Stati Uniti d'Europa. Se si vorrà essere protagonisti sulla scena planetaria non potranno essere tollerati nazionalismi, gelosi della "sovranità nazionale". Questa non è rispettata dalle grandi e gravi crisi internazionali, sovranazionali. Non bastano più nemmeno gli Organismi attuali, nati nel secolo scorso, quando il pianeta aveva ben altra configurazione economica e di potenze militari. Papa Francesco si è presentato agli Americani, nel saluto alla Casa Bianca, come figlio di una famiglia di immigranti, quelli che hanno partecipato a rendere sviluppato e ricco il nuovo continente. Usa e Germania hanno costruito la loro potenza sulla immigrazione.
I cambiamenti in atto sono continui e alcuni più accelerati di quanto ci si aspettasse: Cuba, Iran. Non tutto, come si suol dire, è oro che luccica. Anche per quello che accade in casa nostra. 
Non c'è dubbio che il Governo Renzi ha impresso all'agire politico il segno della novità, della velocità, con il rispetto delle scadenze che promette. C'è, tuttavia, una modalità per raccontare la politica attuale che non sembra fatta per informare nel merito. Non si tratta solo di contestare la spettacolarizzazione di alcuni talk show, per cui poco si spiega e molto si cerca di apparire. È il venir meno della funzione divulgativa e promozionale dei centri periferici dei partiti, perché ci si affida molto ai social media e alla visibilità dei leader. 
Il risultato è la facile polemica secondo cui "ai cittadini non interessa l'articolo 2" - ed è vero - ma nei fatti non si raccontano bene nemmeno le riforme che interessano i cittadini. Un esempio la "buona scuola": mai come ora la autonomia scolastica è stata davvero riconosciuta e fornita di mezzi. Se non si conosce, si impianta una preventiva difficile applicazione. 
È il destino di molte riforme, nate male, perché i protagonisti sono divenuti spesso avversari interni. Urge un "magistero orale" da parte degli eletti, in tutte le occasioni in cui si possono incontrare i cittadini, anche se il rapporto può essere difficile; questi imparano a conoscere gli eventuali futuri candidati nella quotidianità dell'impegno e non per la breve parata delle campagne elettorali e - peggio ancora - delle primarie o parlamentarie. Si vince l'antipolitica col contatto, il controllo sociale. 
In questa legislatura più di 220 parlamentari - di tutti i partiti - hanno cambiato casacca! Evidentemente non erano arrivati da convinti militanti, legati a un ideale, consapevoli che ciò comportasse disciplina, stare in panchina, appagarsi del grande ruolo di rappresentanza democratica ottenuta dai cittadini... curiose certe censure sul "mercato" dei parlamentari. Chi di mercato ferisce - certificato in aule giudiziarie - di mercato perisce... ma è una indecenza. 
Altro danno che viene dalla evanescenza dei partiti. Come siamo lontani da quanto scriveva sul Popolo del 12 dicembre 1943, Alcide De Gasperi: "Lavoriamo in profondità, senza ambizioni particolaristiche, con alto senso del dovere, non curanti delle accuse di essere troppo a destra o troppo a sinistra, secondo il linguaggio convenzionale della superata topografia parlamentare. In realtà ogni partito realizzatore sta al centro, fra l'ideale e il raggiungibile, fra l'autonomia personale e l'autorità dello Stato, fra i diritti delle libertà e le esigenze della giustizia sociale". Non osino mettere in un Pantheon su misura De Gasperi quei partiti che non capiscono nemmeno questo pensiero dello statista trentino! Non lo imitano certo quei politici che arruolano i propri familiari come diretti collaboratori con rispettabili emolumenti. 
Maria Romana, segretaria del Presidente, non riceveva alcun compenso, perché secondo De Gasperi sarebbero stati troppi due stipendi, nella stessa famiglia, a carico dei cittadini. Divenuto leader, già anziano, ha pensato e agito da giovane, sognando in grande e guardando lontano, ai diritti delle generazioni future. 
Il primo dei quali è vivere in pace. Per questo più che una comunità monetaria, voleva una Comunità Europea di Difesa - la CED - ma morì col dispiacere di aver constatato che nonostante i guai della guerra i nazionalismi faticavano a ridimensionarsi; proprio come oggi! "Quello che ci volle - rifletteva De Gasperi - per fare un'Italia, dove ogni città nei lunghi secoli di servaggio aveva appreso a detestare la città vicina bisognerà fare per l'Europa. Si parli, si scriva, si insista, non ci si dia tregua: che l' Europa resti all'ordine del giorno". Lo Statista ancora affermava che "per unire l'Europa è forse più necessario smobilitare che costruire: disfare un mondo di pregiudizi, di pusillanimità e di alterigie, disfare un mondo di rancori". Smobilitare e costruire è il tempo che attraversiamo. Mi si è delicatamente rimproverato di non contestare certe “riforme” che stanno procedendo (spero!) nel nostro Paese. Il fatto è che siamo rimasti incartati per troppo tempo e quindi sentire entusiasmo, voglia di scrostare meccanismi, che bloccano la democrazia invece di vitalizzarla, mi fa sperare in una ripresa di civismo. 
Se la politica funziona, poi sarà in grado di correggere gli errori, con lo stesso coraggio e tempestività. È sempre possibile galleggiare e attendere ancora anni, dopo che abbiamo alle spalle una serie di fallite Commissioni Bicamerali e di sinedri di saggi e costituzionalisti nominati dal Capo dello Stato. Un tentativo nemmeno tanto mascherato è di porre le assemblee parlamentati di fronte a milioni di emendamenti. Un sistema democratico non decidente non serve i cittadini che hanno il diritto di veder riconosciuti i loro bisogni con la stessa celerità con cui si presentano. Sul piano internazionale - soprattutto europeo - serve dimostrare che l'Italia si riforma. Bisogna tornare alla politica; lo ripeteva spesso Einaudi che "bisogna conoscere per deliberare". I dati sono eloquenti: si può barare nell'interpretarli ma rimangono lì e giudicano le improvvisazioni, le superficialità, le ignoranze. 
Qualche volta i politici, quasi per avvalorare il rispetto dei dati, scelgono tecnici per governare. Che si sia constatato che non funziona, ormai è certo. Anche la DC era ricorsa agli "esterni" ma si è capito che la politica "non si rifà la faccia" con le scorciatoie. Solo la motivazione sostiene l'impegno. 
I laburisti affidano a un leader di 66 anni il rinnovamento del partito. In Catalogna c'è una grande partecipazione al voto di coloro che hanno un sogno da realizzare. Purtroppo gli altri rimangono a casa... così vince il populismo, che è irrazionale ma alimentato da progetti ancorché illusori. Che sarebbe la Catalogna senza Spagna, fuori dall'Europa? 
C'è una contaminazione, che può diventare contagio infettivo, se non si sostengono i cittadini con la testimonianza della buona politica. La politica è un'attività tremendamente seria, perché deve offrire soluzioni ai problemi del cittadini, con una visione ampia, una visione del mondo. 
Sia con l'enciclica Laudato sì che coi discorsi nel suo pellegrinaggio americano, Papa Francesco non ha mai fatto proclami politici, piuttosto ha richiamato ciascuno a specifiche responsabilità - i governanti alle loro - perché il mondo è interconnesso e non c'è modo di evitare che i comportamenti di ciascuno non lascino traccia e non creino conseguenze sulla vita di tutti gli altri. "Vivir para servir, sin servir no es vivir": incredibile forza di una frase. Un programma. Viene da dire che chi si disinteressa completamente della politica è giudicato non una persona pacifica, ma inutile. (m.g)

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